Giovedì 11 maggio, ore 17:30 italiane. Dopo aver toccato un eloquente -28% nel pre-market, il titolo di PacWest Bank viaggiava a -21%. Non male, stante la narrativa in base alla quale la crisi bancaria Usa fosse risolta. Il motivo del nuovo crollo? Semplice: i numeri. Quelli veri. Perché se a inizio settimana avevamo fatto i conti con una Fed capace di applicare aggiustamenti stagionali ai dati relativi alla fuga di depositi, tali da generare un gap da 10x, ecco che due giorni fa la medesima PacWest ha ammesso come la scorsa settimana il deposit flight sia accelerato, portando a un calo del 9,5% nei sette giorni terminati il 5 maggio.
Avete letto bene: -9,5% in una settimana. Ma c’è di più. Se infatti il valore del titolo della banca californiana è passato dai 10,15 dollari del 28 aprile ai 5,96 dollari proprio del 5 maggio, un sobrio -41%, ecco che il grosso dell’emorragia si è sostanziata tra il 4 e 5 maggio. Ovvero, subito dopo l’approdo di PacWest sui media per la sua possibile necessità di un salvataggio stile First Republic Bank. Avvenuto appunto il 3 maggio. Azione-reazione. E adesso? Adesso, fast forward. Come si faceva con le audiocassette, quando si voleva cercare la canzone preferita. In questo caso, l’avanzamento veloce potrebbe rappresentare il simbolico gap temporale che ancora divide l’Europa e il suo sistema bancario da quanto sta accadendo dall’altra parte dell’Atlantico.
Il grafico ci mostra il poco edificante trend dello Stoxx 600 Real Estate, l’indice paneuropeo dei titoli azionari del comparto immobiliare. E la ragione per cui quell’immagine deve farci pensare è quanto scritto da Aaron Guy, analista di Citi: L’asset value del commercial real estate europeo potrebbe scendere del 40%, un livello che potenzialmente potrebbe operare da detonatore e innesco di rotture nei covenants e richiedere fino a 178 miliardi di dollari di nuova equity o altre azioni di mitigazione. Per capirci, l’intero market cap del settore è di 144 miliardi di dollari. Certo, Bank of America invita invece all’overweight sul comparto, poiché l’ormai certa recessione porterà a un calo dei rendimenti obbligazionari. Ma il profilo di rifinanziamento di un settore così rates-sensitive dovrebbe far pensare, stante una bolla immobiliare svedese pronta e esplodere e una Bce che, almeno nei rumors, sarebbe intenzionata ad alzare ancora i tassi fino al board di settembre. Casualmente, di colpo i media italiani vengono investiti dall’interesse spasmodico per gli studenti che piantano tende di fronte agli atenei per protestare contro il caro-affitti. Portando il tema in modalità on nella pubblica opinione. Nel frattempo, si cerca di lavorare sottotraccia. Perché il 30 giugno si avvicina e la soluzione per Eurovita ancora latita. E se per caso qualcosa andasse storto nella trattativa sui progetti di destinazione fondi del Pnrr, tale da bloccare la seconda e terza tranche di “aiuti”, la bomba a innesco del superbonus potrebbe fare il resto. A quel punto, qualcuno potrebbe evocare soluzioni alla Xi Jinping verso il private equity nell’edilizia abitativa. Ed Eurovita divenire la nostra PacWest.
Andiamo ora a ieri. Quando tutti gli occhi erano puntati sul report H 4.1 della Fed in attesa di pubblicazione a Wall Street chiusa. Tradotto, le dinamiche relative alle riserve e ai depositi bancari. E in attesa dell’ennesimo magheggio attraverso il sapiente uso di aggiustamenti stagionali, ecco che il dato relativo ai Money Market Funds ci offriva fin dal mattino uno spoiler chiaro: altri 18,3 miliardi di inflows, un dato che porta il totale aggregato a 5,32 trilioni e, soprattutto, parla di almeno 120 miliardi fluiti in investimenti a reddito fisso nelle ultime tre settimane. Da dove? Il matching è elementare: via dai depositi di banche percepite come traballanti e via verso i lidi dell’obbligazionario.
Ma a far preoccupare è il dato dei prestiti emergenziali accordati dalla Fed nell’ultima settimana: un aumento da 81,1 miliardi agli attuali 92,4 nell’utilizzo delle due facilities di backstop. Signori, la crisi bancaria non è affatto risolta. Ma ecco che il grafico ci mostra perché, quasi a svelare un diabolico silver lining, un bicchiere mezzo pieno dell’intera situazione.
Oltre al report della Fed, nella giornata di ieri era infatti atteso il meeting bipartisan per cercare una soluzione rispetto alla crisi del tetto di debito statunitense. Di colpo, Joe Biden nella serata di giovedì ha deciso di rinviarlo. Ottenendo come reazione del debito Usa quella rappresentata in questo secondo grafico.
Insomma, più delle riserve bancarie, è il TGA a preoccupare, la dinamica rappresentata nell’immagine precedente. E di cosa di tratta? L’acronimo di Treasury General Account, nulla più che il calderone di entrate fiscali e di vendita di Treasuries con cui la Fed di New York gestisce le spese quotidiane del Governo. Il conto corrente d’America. Come notate, il cash burn sta accelerando. Il livello di TGA è sceso a 155 miliardi. Di fatto, il TGA è presente nel bilancio della Fed come una liability. Ma, soprattutto, necessità ontologicamente di un trend da saldi invariati, un matching con altri assets. Per capirci, se scende il TGA, devono salire le riserve bancarie. Perché ogni volta che un cittadino o un’impresa riceve un assegno federale, lo deposita presso la propria banca che, a sua volta, lo presenta alla Fed. La quale opera a debito sul conto del Treasury e accredita la somma su quello della banca, aumentandone così il livello delle riserve. In tempi di Qe, il drenaggio di queste ultime viene mascherato dagli acquisti di assets della Banca centrale, ma oggi, in pieno (ancorché formale, visto l’abuso di facilities emergenziali) Qt, cosa accade? Normalmente, il TGA viene mantenuto basso. Addirittura, prima del 2016 non ha mai superato quota 251 miliardi.
Perché? Perché normalità vorrebbe che maggiori riserve bancarie generate dal cash flow del TGA si traducessero in maggiori prestiti all’economia reale. Un balsamo per la crescita. Ma oggi gli standard creditizi sono già in netta contrazione e la recessione bussa alla porta tramite i patterns delle serie storiche: quindi? Quindi, chiedetevi il perché di questa strana crisi bancaria. Tanto strana quanto necessaria per mascherare il reale stato di salute del dollaro e del modello economico Usa, tutto basato su indebitamento, credito al consumo e Qe. Libero mercato, quindi?
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