Mentre i francesi sfilano per le strade chiedendo una pausa sulla riforma delle pensioni, il Presidente Macron chiede una pausa sulla regolamentazione ambientale europea. L’inquilino dell’Eliseo stima che “abbiamo già approvato molti regolamenti a livello europeo, più dei nostri vicini (…) Ora dobbiamo eseguire, non apportare nuove modifiche alle regole, altrimenti perderemo tutti gli attori produttivi”.
L’appello s’insinua nel mezzo della presentazione del piano per la reindustrializzazione nazionale che il Presidente ha tenuto, giovedì scorso, davanti a una platea di 300 imprenditori e manager francesi. Una frase buttata in mezzo a un discorso su una strategia di stimoli fatta a colpi di bonus auto e crediti d’imposta verdi, per accelerare la contro risposta dell’industria francese alla concorrenza di Paesi con prezzi ambientali più bassi come la Cina che detiene il primato dalla produzione di pannelli solari alle batterie e auto elettriche. O al maxipiano di aiuti per la transizione green statunitense diventato un magnete per le imprese invogliate a delocalizzare negli Usa.
Il nodo sta nell’equilibrismo di saldare reindustrializzazione del Paese, difesa dei posti di lavoro avendo al contempo normative climatiche esemplari. Esercizio tanto più difficile che deve realizzarsi mentre l’inflazione spinge i consumatori ad acquistare sempre più a buon mercato. Non vogliamo essere solo un mercato che acquista verde, ma vogliamo avere in loco produzioni verdi, ha chiosato il Presidente francese.
L’uscita ha provocato un prevedibile terremoto tra gli ambientalisti francesi che hanno polemizzato contro il “Campione della Terra” irridendo del titolo onorifico con cui il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente Unep ha insignito Emanuel Macron nel 2018. La scossa sismica ha investito anche la Commissione alle prese con il tentativo di controbilanciare gli effetti del suo eco-dirigismo climatico (decidendo per 200 milioni di cittadini >quali auto guidare, come riscaldarsi, come conservare gli alimenti) con delle misure per restituire l’autonomia all’industria europea con il piano Net Zero Industry Act (NZIA) e diminuire la dipendenza di materie prime del continente con il Critical Raw Materials Act (CRMA).
La richiesta di pausa non significa moratoria o abrogazione delle regole negoziate ha poi precisato Macron, messo alle strette dai suoi stessi compagni di partito spiazzati da questa frase non concordata. Altra ricaduta politica imbarazzante è così Macron si allinea alle posizioni del gruppo dei conservatori nell’Europarlamento che da tempo vanno chiedendo una sospensiva su diversi testi ambientali.
La richiesta di pausa di Macron andrà pure stigmatizzata come un’uscita infelice, ma è anche in qualche misura il termometro dello scollamento tra l’agenda climatica di competenza degli inquilini di palazzo Berlaymont (in scadenza tra 17 mesi) e le misure di politica industriale verde (formazione professionale, investimenti mirati, riduzione della burocrazia) spettanti ai Governi nazionali. Produrre nell’area del pianeta con le politiche emissive più stringenti è sicuramente una medaglia da appuntarsi al petto. Andare a competere su mercati globali richiede altri distintivi però.
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