“Si diventa ciò che si contempla”, recitava un antico detto monastico medievale, che ci ricorda quanto la bellezza non abbia a che fare con la sola esteriorità, ma con l’essenza più intima della vita. Ed è su questa linea che si muove la breve, ma densa, raccolta di articoli di padre Aldino Cazzago, già direttore di Communio e docente di teologia orientale, pubblicati da Arca, una piccola e coraggiosa casa editrice di Trento.
Che non si tratti di un trattato di filosofia o teologia estetica ce lo rammenta, sin dalle prime pagine, il richiamo all’esperienza di redenzione vissuta da un gruppo di carcerati torinesi attraverso la preparazione e la recitazione di testi teatrali, ma anche la testimonianza, riportata sempre nelle prime pagine, di integrazione culturale di studenti e immigrati stranieri attraverso le bellezze artistiche e paesaggistiche d’Italia.
D’altra parte, la bellezza e la bruttezza, negazione della prima, hanno a che fare non con l’eccezione, ma con la normalità della vita e l’autore lo mostra, rapidamente, accennando alle condizioni di sporcizia e abbandono di strade e periferie delle nostre città, non senza conseguenze sulle relazioni umane. “Un campo dove bruttezza e bruttura si alleano è quello dei rapporti sociali in ambienti particolarmente sfavoriti o degradati. A volte vien da pensare che le bruttezze dell’ambiente e la bruttura, spesso subita, della vita delle persone, si condizionino e si alimentino a vicenda”.
È una situazione allarmante che è ripresa anche nell’enciclica Laudato si’, a cui Cazzago fa più volte riferimento, ma che è stata altresì oggetto del dibattito che ha preceduto e seguito l’inserimento della tutela del paesaggio nella nostra Costituzione, a sua volta ripreso dall’autore, insieme a un importante e quasi ignorato intervento del presidente Mattarella. I nessi con l’attualità sono, del resto, costanti in tutto il volume: dall’emergenza Covid alle conseguenze – a tutt’oggi permanenti – degli eventi tellurici che hanno interessato il nostro Paese.
L’impressione è che di certe cose si possa anche parlare, ma che esse finiscano poi per essere considerate marginali, rispetto ad altre “urgenze” considerate più “concrete”. Invece, quella del recupero della bellezza come principio di civiltà è tra le prime a urgere, ed è oggi, letteralmente, questione di vita o di morte per ciò che siamo e che saremo come società civile.
Il merito del volume, in effetti, è quello di saper coniugare considerazioni giuridiche e sociologiche con una chiarissima visione estetica, le cui radici profonde sono nella bellezza come esigenza umana, e nella tradizione come espressione storica imprescindibile di questa medesima esigenza. “Una civiltà non si edifica in un breve arco di tempo, ma lungo secoli di storia. Essa è il tesoro, il patrimonio nato dal creativo incontro di fattori civili e religiosi, e da condizioni geografiche, economiche e storiche favorevoli”. E qui l’autore fa l’esempio dei magistrati cittadini, gli “ufficiali dell’ornato”, che nella Siena medievale avevano il compito di valutare l’impatto architettonico e urbanistico delle nuove costruzioni.
I fondamenti di questa visione e il loro recupero nel presente sono operanti lungo tutta questa agile raccolta di scritti, con richiami a grandi autori della tradizione orientale (quella più cara all’autore), primo tra tutti Berdjaev, ma anche ad artisti e intellettuali scomodi del Novecento, come Marc Chagall e, soprattutto, Simone Weil.
Sono fondamenti che hanno molto da dire anche sulla “emergenza educativa” di cui si discute ormai da quasi un trentennio e a proposito della quale troppo raramente si affronta la questione di quanto la bellezza sia e debba essere un pilastro educativo. Come si fa a educare senza la bellezza? Non è in questa assenza l’origine ultima di ogni sterile moralismo?
Con l’autore constatiamo, allora, in conclusione, che “Quando l’educazione alla bellezza diventa un fattore stabile della formazione della persona si è anche fatto un passo in avanti nella sua educazione alla fede e, se credente, della sua fede”. Con Von Balthasar, ripreso nel volume, constatiamo ancora: “Chi, al nome della Bellezza, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più capace di pregare e, presto o tardi, nemmeno di amare”.
Questi Brevi itinerari nella bellezza (Arca, Trento 2022), sono senz’altro brevi, ma non per questo meno stimolanti e, come tali, si raccomandano come agile e gradevole lettura per chiunque abbia a che fare con le problematiche educative, ma anche con quelle socio-politiche di “conservazione” e promozione del bello in tutte le forme della convivenza civile.
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