Il Sudan da tempo vive una profonda e complessa crisi che appena un mese fa è culminata in una violenta, e fratricida, guerra per il potere politico. In tutto questo, si fa sempre più scottante l’indipendenza e la libertà del confinante Sud, che nel 2011 si è guadagnato la libertà, nella speranza di dare vita al più giovane paese del mondo. Cruciale si è dimostrato il ruolo della diplomazia occidentale, portatrice di libertà, che tuttavia sembra aver solamente accentuato la crisi in entrambi gli stati.
La guerra in Sudan, infatti, è scoppiata poco meno di un mese fa (precisamente il 15 aprile), ma altro non era che il frutto di una lunga e complicata crisi interna. Nel 2019, infatti, è stato rovesciato il dittatore che deteneva il potere dal 1989, Omar alBashir, per mano di due forze militari del paese. Da un lato, Abdel Fattah alBurhan, capo delle forze armate sudanesi, e dall’altro Muhammad Hamdan Dagalo, capo di un gruppo di miliziani. Quello che poteva essere il punto di inizio della guerra in Sudan venne frenato, apparentemente, dagli sforzi della diplomazia occidentale, che cercò di guidare un percorso di condivisione dei poteri tra i due, sanguinari, leader.
La guerra in Sudan e gli errori occidentali
Insomma, in un primo momento sembrò che la guerra in Sudan fosse stata evitata ma nel 2021 i due leader, scontenti delle politiche proposte dai diplomatici occidentali, li estromisero con un nuovo colpo di stato. La paura di entrambi i leader era che le politiche occidentali avrebbero ridotto il potere degli eserciti, vero perno portante della politica sudanese, e che avrebbe anche fornito maggiori poteri a Dagalo.
La violenza, che ha portato allo scoppio della guerra in Sudan, secondo alcuni commentatori altro non è che un tassello fondamentale della nascita delle democrazie. L’esito dell’azione diplomatica, dunque, sarebbe stato solamente quello di rendere vani questi sforzi, cercando la pace a tutti i costi, a discapito del volere effettivo della nazione. Con la violenza, spiega l’Economist, si apre ai percorsi di pace e all’instaurazione della democrazia reale, in modo molto più naturale che tramite l’imposizione di una visione politica, o il conferimento dei poteri in mano a persone che cercano solamente ricchezza e fama. La guerra in Sudan, insomma, altro non è che lo specchio di quella violenza, esasperata proprio dalla diplomazia occidentale.
Cosa rischia il Sudan del Sud
Così come il Sudan versa in una violenta guerra per il potere, lo stesso potrebbe accadere anche nel vicino ed indipendente Sud. Nel 2013 scoppiò la prima guerra civile del neo stato, che è stata fermata nel 2018 dalla diplomazia occidentale. In che modo? Imponendo una condivisione dei poteri tra Salva Kiir, l’attuale presidente, e Riek Machar, il primo dei cinque vice. Ancora una volta, insomma, i diplomatici si sono dimostrati indulgenti con i generali militari, bloccando la nascita di movimenti politici dal basso (ovvero dalla popolazione), sinonimo reale di democrazia e libertà, che nel 2019 portarono al rovesciamento di Bashir in Sudan.