Natalità, arcobaleni permettendo

Si sono conclusi gli Stati generali sulla natalità. La sua crisi è la risultante di problemi diversissimi. Che vanno affrontati con un ampio spettro di proposte

Si sa che convegnoni e convention rischiano spesso la maledizione della passerella e dell’inconcludenza. A questa maledizione sembra essere sfuggita la terza edizione degli Stati generali della natalità appena conclusi.

È bene non illudersi che dall’oggi al domani le donne italiane si rimettano a fare figli grazie a un qualsivoglia provvedimento, e neanche dopodomani. I fronti su cui si gioca la partita, infatti, non sono uno solo, quello delle politiche familiari, ma quattro, perché vanno considerati questi altri tre: il modello di sviluppo, la cultura dominante e la crisi della speranza.

Il modello di sviluppo

Il turbocapitalismo liberista dominante ha fra le altre due caratteristiche: a) produce necessariamente non solo beni, ma bisogni, sempre nuovi bisogni (lo intuì già per esempio John Kenneth Galbraith nel secolo scorso, oggi il processo è accelerato e moltiplicato); b) produce necessariamente scarti umani (lo denuncia incessantemente papa Francesco). Il fatto è che per l’uomo, a differenza dell’animale, il bisogno è connesso al desiderio; e l’abnorme produzione di bisogni facilmente produce una deviazione degli umani desideri. Per questa via, per dirla un po’ grossolanamente, il desiderio di un figlio può dover competere col desiderio di… una Tesla, metti.

È molto importante che il tema della famiglia e della genitorialità sia presente anche dall’interno del mondo dell’economia e della produzione. Ci sono in verità buoni esempi di welfare aziendale, che agli Stati generali sono stati presentati: sono spesso iniziative delle stesse imprese, talvolta lungimiranti. È una dimensione, questa, che dovrebbe vedere attivamente impegnati i sindacati, perché la via migliore per il welfare aziendale è quella della negoziazione e della collaborazione bilaterale, vale a dire l’applicazione del metodo della sussidiarietà nella contrattazione. Sarebbe una nuova strada da sindacato moderno e utile, abbandonando (specie Cgil e Uil) la vecchia dell’ideologia astratta o della conflittualità a prescindere.

Il modello culturale

Almeno a partire dal Sessantotto (in concomitanza con l’affermazione del modello economico consumista), la famiglia è considerata “ariosa e stimolante come una camera a gas”. A parte la battuta dell’epoca, la cultura radicale e borghese ha progressivamente annullato la considerazione della famiglia come soggetto, in nome di una concezione tutt’affatto individualistica della persona, quindi dei suoi desideri, traducendoli via via in sempre nuovi e tendenzialmente illimitati diritti individuali. In principio fu la separazione della sessualità dalla famiglia, quindi della sessualità dall’amore e infine dalla stessa generatività. Il figlio da dono a prodotto, non più da accogliere ma da gestire (!).

Papa Francesco certamente è intervenuto magistralmente su questo tema del modello culturale. Eugenia Roccella (ministra per la Famiglia e della natalità) ha parlato di “rivoluzione culturale necessaria”. E Giorgia Meloni ha dichiarato di “voler restituire agli italiani un Paese in cui essere padri e madri sia un valore socialmente riconosciuto e non un fatto provato. Per decenni la cultura dominante ci ha detto il contrario, io penso sia il momento di invertire la tendenza”.

Alimentare speranza

“La sfida della natalità è questione di speranza, che non è illusione o vago ottimismo, è una virtù concreta… Alimentare la speranza è un’azione sociale, culturale, artistica nel senso più alto della parola, ovvero mettere le nostre risorse al servizio comune” (Francesco). Questo è il nodo forse più decisivo di tutti della nostra epoca. La speranza non mente e non imbroglia. Se non c’è, non c’è. Uno non se la può dare da sé. Come non poteva darsi da sé il coraggio il povero don Abbondio dei Promessi sposi. Tant’è che Eugenio Montale taglia corto: “Un imprevisto è la sola speranza” (Il viaggio). Un bel rebus: sull’imprevisto non si può mica farci conto.

E allora? Come si fa a sperare (anche quando non ti va di lusso)? “Per sperare bisogna essere molto felici, bisogna aver ricevuto una grande grazia”, avverte Charles Péguy (Il Mistero del portico della seconda virtù). E don Luigi Giussani puntualizza di che trattasi: della “grazia di una certezza in un presente; … è solo la certezza di un significato nel presente che, nel tempo, dà luogo a una certezza nel futuro”. Chiaro che Giussani parla di Cristo. Questa posizione – o, per meglio dire, questa esperienza – è (o sarebbe) il più grande contributo che i cristiani possono dare alla crescita della comunità civile (senza ridursi a un pro-vita, una volta all’anno, che è giusto, ma che appare sempre più moraloide e fiacco).

Le politiche familiari

Tutto ciò non toglie che non è da sottovalutare, sia chiaro, nemmeno il ruolo delle politiche familiari attive che governi e parlamenti possono mettere in campo. Soprattutto se i provvedimenti sono coerenti, il più possibile organici e durevoli. Se il modello di sviluppo, la cultura dominante, la questione della difficile speranza accomunano tutti i Paesi europei, resta che la denatalità italica è maggiore degli altri. Forse proprio perché mai finora sono state fatte nel nostro Paese politiche familiari degne di questo nome, bensì interventi frammentati, bonus di qua, bonus di là, non infrequente confusione tra questione familiare e questione povertà, in ottica assistenzialistica.

Qualcosa di significativo, però, negli ultimi anni si è mosso. Il Family act del maggio 2022 si propone come legge di riforma organica delle politiche familiari, che prevede cinque aree di intervento: sostegni alla famiglia per spese educative e sportive; rafforzamento dei congedi parentali e di paternità obbligatoria per tutte le categorie; incentivi al lavoro femminile; sostegno all’autonomia finanziaria dei giovani under 35 per spese universitarie e affitto prima casa; assegno universale mensile per ogni figlio, con base minima indipendente dal reddito, il resto in proporzione con l’Isee.

L’assegno unico è una misura già introdotta dal governo Draghi, ed è ritenuta positiva da tutte le forze politiche, e anche da incrementare – risorse permettendo – come chiesto a gran voce dagli Stati generali.

Adesso si vedrà quanto e come del Family act verrà attuato dal governo in carica; se e quando verranno varate le cospicue novità fiscali preannunciate dal ministro dell’economia, Giorgetti, a beneficio delle nuove nascite; se e quanto, infine, le opposizioni saranno, come si dice, costruttive su un tema che dovrebbe più spronare alle convergenze che esasperare le divisioni.

Arcobaleni permettendo.

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