Elezioni Usa, il “voto” del Rio Grande

Nei giorni scorsi il confine meridionale degli Stati Uniti è tornato a essere un fronte caldo mediaticamente e anche politicamente

L’acqua è scura, verde quasi nera, nel Rio Grande. Il fiume scorre attraverso un’area frondosa, la corrente non è forte. E una famiglia cerca di passare da una sponda all’altra. L’acqua gli arriva al petto. Quando avranno attraversato il fiume, avranno la schiena bagnata e poi ci saranno pattuglie e quindi autobus per riportarli indietro. Ma su TikTok dicono che questa volta il confine è aperto.

Come questa famiglia, nei giorni scorsi ci sono stati migliaia di migranti che hanno cercato di entrare negli Stati Uniti. Il confine non è aperto. Il famoso Titolo 42 istituito da Trump durante la pandemia non è più in vigore. Non c’è più la norma che negava l’asilo ai rifugiati e consentiva l’espulsione dei migranti in 30 minuti. Ora l’espulsione è un po’ più lenta. Ma, in conformità con il diritto internazionale, il diritto di asilo non è negato.

Le immagini degli ultimi giorni sono carburante per una possibile campagna di Trump. Ai suoi seguaci non importa molto che sia stato condannato per abusi sessuali. Le informazioni fornite dai canali radiofonici e televisivi alimentano l’idea che ci sia un’invasione inarrestabile di messicani, venezuelani, honduregni, salvadoregni… Prima dell’apparizione di Trump, i candidati repubblicani non promettevano un pugno di ferro contro l’immigrazione per non perdere il voto ispanico. Ora agli ispanici, paradossalmente, piace sentire che la politica sull’immigrazione sarà implacabile. Per questo Biden vuole dimostrare di essere in grado di controllare ciò che accade al confine.

Avremo ancora una volta una campagna incentrata sulla costruzione del muro al confine meridionale. La questione è complessa. L’arrivo di migranti in alcune, poche, parti del Paese come New York può creare problemi ai servizi sociali. Ma gli americani non sarebbero in grado di riordinare i loro giardini, prendersi cura dei propri figli o avere abbastanza camerieri senza i migranti. Lo si è già stato visto durante la pandemia con i lavoratori agricoli.

Negli ultimi due anni e mezzo, i migranti hanno aumentato significativamente la forza lavoro degli Stati Uniti. Alcuni economisti sottolineano che questa forza lavoro è essenziale affinché il Paese continui a crescere. Gli studi del prestigioso Pew Research Center indicano che tra il 1995 e il 2015 la metà dei nuovi lavoratori era costituita da migranti. Gli Stati Uniti hanno bisogno di manodopera più che mai, soprattutto nel settore industriale. Pochi giorni fa Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale, ha presentato la strategia geoeconomica di Biden. È più dura con la Cina rispetto a quella di Trump. L’élite democratica è convinta che il modello di globalizzazione degli ultimi 30 anni, che ha dato priorità al libero scambio e ha relativizzato i problemi di sicurezza nazionale, abbia indebolito le basi socioeconomiche delle democrazie sane. Si deve evitare a tutti i costi che la Cina continui ad appropriarsi della tecnologia per i semiconduttori. Per questo, è necessario ridurre le relazioni commerciali con il gigante asiatico e rafforzare le alleanze con il “mondo libero”.

Questa strategia provocherà senza dubbio un aumento della polarizzazione tra l’Occidente e il Sud del mondo, che, come stiamo vedendo con la guerra in Ucraina, si sente più vicino alla Cina che agli Stati Uniti. Questo è il paradosso: gli Stati Uniti e l’Occidente in generale hanno bisogno della forza lavoro del Sud del mondo, ma si allontanano sempre di più da quel Sud del mondo. È disumano che l’unico interesse nei confronti dei migranti riguardi la loro capacità di migliorare l’economia. Non è intelligente, né giusto prendere le distanze dal Sud del mondo. L’ideale sarebbe che la famiglia che attraversa il Rio Grande non avesse lasciato la propria casa.

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