Gli attacchi degli alawiti rimasti fedeli ad Assad, la brutale risposta delle forze che agiscono per conto dell’attuale governo. La Siria a guida HTS e Al Sharaa si trova a fare i conti con la prima carneficina perpetrata dai “liberatori”. Una vicenda che pone seri dubbi sul futuro del Paese, nonostante i tentativi di rassicurazione da parte di chi detiene attualmente il potere.
Il vero pericolo che si cela dietro gli scontri che si sono verificati nella zona abitata prevalentemente da alawiti, osserva Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire, è quello della frammentazione del Paese, che verrebbe diviso secondo le confessioni religiose presenti. Chi spinge in questa direzione è soprattutto Israele, che ha già messo sotto la sua ala protettrice i drusi. Un divide et impera che rischia di spezzettare la Siria in una serie di realtà a sé stanti.
Il governo di Damasco dice che l’operazione nella zona di Latakia è terminata. Ma cosa ci dice questa vicenda sullo stato delle cose in Siria? Al Sharaa dice addirittura che verranno perseguiti coloro che hanno ucciso i civili. C’è da crederci?
I morti, dai 50-70 di cui si parlava il primo giorno, sono diventati molti di più. Ora si stima che siano circa 1.300: 831 civili, 230 appartenenti alle forze di polizia governative, 250 miliziani filo-Assad. E c’è chi dice che si tratta di una stima al ribasso: ogni giorno si scoprono nuove fosse comuni. Al Sharaa ha nominato una commissione d’inchiesta indipendente, basti dire che è stata nominata da lui. Dice che ci vorrà un mese per arrivare alla verità, ma non si può aspettare così tanto per sapere cos’è successo.
Cosa conosciamo davvero di quello che è accaduto in questi giorni nell’ovest del Paese?
Sappiamo che ci sono state delle imboscate ad opera degli alawiti nei confronti delle forze del governo. È improprio, tuttavia, parlare di alawiti tout court; bisognerebbe dire “gli alawiti che sono rimasti fedeli ad Assad”. Anche se sappiamo che è lì, nell’ovest, che si è concentrato il grosso dei sostenitori del vecchio presidente che non sono riusciti a scappare all’estero.
Gli alawiti filo-Assad si sono organizzati. Dopo gli scontri di questi giorni si dice che si siano ritirati all’interno delle zone montuose. È quella la loro base?
Dopo la caduta del regime, chi non è fuggito all’estero si è asserragliato nei villaggi di montagna, più che nelle città. Questi gruppi hanno dimostrato una capacità di lanciare diverse operazioni contemporaneamente, perché hanno attaccato Baniyas, Tartus, Jablah, Qardaha, dove si trova il mausoleo di Assad padre, e altre località. Hanno provocato decine e decine di morti tra le file delle forze dell’ordine. La cosa spaventosa è che la vendetta è stata cieca, diretta non solo contro gli uomini armati e i centri in cui si trovano: hanno colpito i civili.
In attesa della commissione di inchiesta, cosa è emerso sull’operato delle forze governative?
Entravano nei villaggi, si parla di 40 posti diversi, prendendo di mira la gente comune: veramente spaventoso. Le testimonianze che arrivano parlano di ceceni, asiatici, mercenari che sono ancora al soldo di HTS, sciolto o non sciolto che sia.
Gli attuali detentori del potere, insomma, continuano a servirsi dei miliziani che combattevano per loro, quei mercenari venuti dai quattro angoli del pianeta per dare manforte alla loro organizzazione. Tutti questi eccidi, però, appaiono non come la risposta di uno Stato, ma di una fazione nemica. È chiaro poi che ci sono ancora odi e rancori che covano sotto la cenere.
Assad era alawita e nessuno lo ha dimenticato?
In un video che ho ricevuto, un’associazione di volontari distribuiva in un quartiere di Hama confezioni di generi alimentari per rompere il digiuno del Ramadan. Sull’etichetta c’era scritto: “L’alawita ha diritto di riposare in pace nella tomba”. In pratica, un invito a uccidere. L’associazione in seguito si è scusata, ma l’episodio è indice del clima di odio in cui si vive. Una donna ha ricevuto una telefonata proprio da Al Sharaa per comunicarle che i suoi tre fratelli, prelevati per essere interrogati, sono stati trovati per strada uccisi.
La donna era del Partito del Popolo Siriano, frutto di una scissione del Partito Comunista. Siamo di fronte a gente magari di fede alawita, ma non certo sostenitrice di Assad. Il problema è che l’attuale governo utilizza le stesse persone che operavano durante la guerra civile: forze in mano agli stranieri, bande di criminali.
L’attacco da cui è partito tutto è stato portato da uomini armati alawiti. Non si aspettavano una risposta così dura?
Persino il cugino di Assad, Rami Makhlouf, miliardario, ha detto che hanno commesso un errore madornale, che rischia di compromettere la sorte di un’intera comunità. Se l’è presa con il deposto presidente (ora a Mosca) e con il fratello Maher per un’operazione che non porta da nessuna parte. E Makhlouf è colui che fino a due giorni prima della caduta di Assad offriva soldi a chi recuperava armi per difendere il regime.
Anche i cristiani si lamentano della brutalità delle forze governative. Perché sono stati colpiti anche loro?
Il patriarca greco-ortodosso di Antiochia, Yuhanna X Yazigi, ha dichiarato che sarebbero stati uccisi molti cristiani, civili innocenti, morti per mano di miliziani stranieri che non sono in grado di distinguere tra alawiti e cristiani. È la riprova di quanto la reazione sia stata indiscriminata. Nella zona c’è anche una valle in cui vivono i cristiani.
Questa vicenda cosa ci racconta del futuro del Paese? Qual è il rischio che si sta correndo?
Credo che si stia cercando di creare il caos per arrivare a una divisione su base confessionale della Siria. La conferma di ciò arriva dai numerosi appelli a difendere le minoranze, l’ultimo dal vice primo ministro israeliano Gideon Sa’ar, secondo il quale l’Europa deve intervenire per proteggere gli alawiti. Adesso Tel Aviv vuole proteggere non solo i drusi, ma anche gli alawiti e magari i cristiani? Non si parla mai, insomma, di siriani, ma delle singole minoranze.
Qual è la politica attuale di Israele riguardo al dossier Siria?
Israele dà soldi e possibilità di lavoro ai drusi siriani; vengono formate le brigate druse. E vuole riprodurre lo stesso meccanismo anche nel resto del territorio. È il primo a spingere verso questa frammentazione del Paese. Ci sono molti elementi che fanno temere il peggio per la Siria. Al Sharaa si è fatto sentire per due volte in 24 ore per dire di mantenere la calma, ma non basta per rassicurare sul futuro del Paese. In queste ore circolano anche molti video che provengono da account creati ad arte per soffiare sul fuoco della divisione confessionale con insulti agli alawiti o ai sunniti.
I turchi, che fanno da tutor al nuovo governo di HTS, possono opporsi a questa frammentazione?
I turchi preferiscono tenere tutta la Siria sotto il loro controllo, non solamente Damasco e Aleppo. Il ministro degli Esteri, Hakan Fidan, e il capo dell’intelligence hanno convocato una riunione ad Amman alla quale hanno partecipato, oltre alla Turchia, Giordania, Libano, Iraq e Siria, proprio per discutere della situazione. Se si formano uno Stato alawita e uno druso, la Siria perde pezzi. Poi, che ci sia un tacito accordo turco-israeliano per dividersi le zone può anche darsi, ma per il momento non è dato saperlo.
(Paolo Rossetti)
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