L’obesità può favorire l’insorgere di malattie autoimmuni? Gli ultimi cinquant’anni hanno visto aumentare la prevalenza nella popolazione generale dell’obesità, ma anche l’incremento delle malattie autoimmuni. A chiarire l’esistenza o meno di un collegamento è Carlo Selmi, responsabile Reumatologia e immunologia clinica, Istituto Humanitas a Milano tra le pagine del Corriere della Sera.
L’esperto conferma che nell’ultimo mezzo secolo la prevalenza di obesità, che si registra con un indice Bmi superiore a 30, sia avvenuto in parallelo con l’aumento delle malattie autoimmuni, cioè un “gruppo di circa cento malattie in cui il sistema immunitario non ‘tollera’ le cellule del proprio organismo e le attacca”. Una condizione che interessa il 5% della popolazione mondiale. Il dottor Selmi illustra che “l’obesità causa direttamente una carenza dei meccanismi di tolleranza immunologica da parte dei linfociti T e B” e in particolare influenzano “una popolazione di cellule regolatorie che agiscono da sordina per una risposta immunologica eccessiva”. L’obesità dunque “favorisce invece l’infiammazione cronica, creando quindi l’ambiente perfetto per lo sviluppo di disturbi autoimmuni”. Parlando da un punto di vista clinico, “l’obesità è correlata a un rischio più alto di soffrire di artrite reumatoide, psoriasi e artrite psoriasica, sclerosi multipla e tiroidite di Hashimoto”. Ma non solo, perché “promuove le malattie infiammatorie croniche intestinali e il diabete mellito di tipo 1”.
Obesità causa malattie autoimmuni? “Peggior risposta a terapie nei pazienti obesi”
Correlazione tra obesità e malattie autoimmuni, l’esperto Carlo Selmi interpellato sull’argomento dal Corriere della Sera sottolinea come sia “molto rilevante notare come i soggetti obesi abbiano malattie autoimmuni più gravi e una peggior risposta alle terapie oggi disponibili”. A questo proposito specifica che “è auspicabile un colloquio con lo specialista curante, ma in generale è raccomandabile un’adeguata attività fisica per chi soffre di una malattia autoimmune, consona per età e condizioni mediche e generali”.
L’attività fisica, spiega Selmi, quando “associata a una corretta dieta ipocalorica basata su un piano alimentare personalizzato e senza eliminazione di alimenti a priori, potrà permettere un miglior controllo del peso e quindi di ridurre l’attività della malattia e la necessità di terapia”.