Brad Glosserman nel suo Peak Japan. The End of Great Ambitions delinea non solo l’ascesa rapida e particolarissima del Giappone, sbalzato dal feudalesimo specialissimo dello shogunato alla cima della vetta ghiacciata del conflitto di potenza – che ha nella vittoria sulla Russia nel 1905 quel punto apicale da cui discenderà solo dopo Hiroshima, per poi stabilizzarsi come è possibile per una potenza economicamente immensa ma dimidiata perché disarmata, non solo del nucleare. Glosserman ci fa capire come dianzi al revisionismo internazionale cinese – che ora si è incardinato con quello russo neosciovinista religioso – il Giappone deve di nuovo ascendere verso le vette, pena la potenziale distruzione, secondo la teoria ben espressa dal primo ministro Kishida che ha ricevuto la nostra presidente del Consiglio nel corso del G7 in Giappone.
Tutto l’Indo-pacifico è in movimento. È difficile pensare che questa ascesa militare e diplomatica del Giappone coincida con il superamento della stagnazione secolare in cui si è immerso prima di tutti gli altri Paesi capitalistici a vocazione imperialista da ben circa trent’anni. Resta il fatto che, come ha detto bene Giorgia Meloni iniziando il suo discorso vis a vis con l’interlocutore giapponese: “L’ora di noi medie potenze è giunta…”.
Il problema è quale potrà essere, tale ruolo, in un mondo che non riesce a unire le pulsioni di un’economia di guerra imminente con una strategia di contenimento dell’inflazione fondata sulla trasformazione della centralizzazione capitalistica distruttiva che è esplosa con l’aggressione russa all’Ue e alla Nato senza profondamente riformare sia il Trattato di Maastricht, sia il funzionamento di organismi come la Wto, la Banca Mondiale, la Banca dei regolamenti internazionali.
L’illusione di risolvere con l’economia di guerra accompagnata dal decoupling delle “potenze occidentali” dalla Russia e dalla Cina non solo è ingenua, ma è altresì disastrosa, per la carenza di offerta di beni strategici che ancor più provocherà l’aumento dell’inflazione da offerta che i banchieri neo-classici non riescono neppure a immaginare e a capire.
Il G7 non può dimenticare il fastidio che ciò provoca in gran parte dell’Africa e dell’America Latina, con gli esempi preclari del Brasile e con lo smantellamento incessante dell’impero francese in Africa, che dopo l’abbandono del franco africano si accompagna alla presenza sempre crescente dei mercenari russi e degli “indebitatori” cinesi.
Il G7 potrebbe essere l’occasione non solo per prolungare la potenza Nato tramite quell’accordo tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti che prevede la cooperazione delle flotte sottomarine dei tre Paesi nel pattugliamento del Pacifico e dell’Atlantico, e così fare da contrappeso alla crescente influenza cinese nell’Indo-pacifico, ma altresì per riformulare gli orientamenti economici delle grandi e medie potenze rispetto al debito pubblico e privato e per varare un piano di investimenti coordinati che, mentre salvaguardi le reti strategiche di potenza dei rispettivi Stati dominanti (e dominati dal fronte Usa), non si avvii per un’era di sanzioni economiche e di decoupling che sprofonderebbero ancor più, come già accade, il mondo intero in una serie infinita di guerre locali con alti gradi di pericolosità nucleare e una recessione di lunga durata.
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