Il filosofo Guillaume Le Blanc, nella sua ultima opera “La solidarietà dei provati. Per una storia politica della povertà“, ha affrontato la questione della povertà, provando ad analizzare il paradosso tra vita dei poveri e vita povera, indagando anche sull’approccio di solito messo in campo dal mondo della politica, fatto di misure di sostegno ma mai di effettiva presa di coscienza del problema. Interessante è l’intervista rilasciata da Le Blanc a L’Humanité, in cui spiega il senso del ragionamento che sta alla base del suo libro. «Metto in discussione la violenza sociale per cui le vite sono meno qualificate di altre, o addirittura squalificate cadendo nel grembo di vite designate da una qualità “negativa” che finisce per diventare la loro unica identità sociale».
Innanzitutto ciò a cui punta il filosofo è creare spunti di riflessione su ciò che la politica potrebbe realmente fare per affrontare sia il pericolo ecologico sia l’emergenza sociale che la povertà porta con sé. Ma soprattutto, a dover essere cambiato, è il modo di vedere chi versa in condizioni di disagio sociale solo restrittivamente circoscritto alla condizione economica latente. Dietro questo aspetto si nasconde infatti anche una vita fatta di esclusione sociale e di continua lotta alla sopravvivenza. «È molto importante considerare che la povertà è un test politico e non solo sociale. I più poveri sono privi delle risorse fondamentali per vivere e che si trovano, di conseguenza, a dipendere dalle istituzioni di assistenza sociale che li sostengono. Sperimentano l’esclusione in conflitto con il lavoro sociale».
POVERTÀ, NON SOLO QUESTIONE ETIMOLOGICA
Guillaume Le Blanc, nel corso dell’intervista, si è soffermato anche sulle diciture comuni con cui si tende a bollare la povertà e chi ci vive: «Sono le parole degli altri che fanno il mondo dei poveri». La sua indagine, da cui è partito già con la scelta del titolo, si è concentrata proprio su una serie di appellativi, troppo spesso negativi, con cui vengono designati i poveri nella quotidianità, tra cui ‘esclusi’, ‘vulnerabili’, ‘precari’. Sono già queste parole a creare la condizione di povertà. «Una delle forme più terribili di violenza sociale risiede nel fatto che i poveri vengono sistematicamente privati di ogni parola e di ogni scrittura. (..) Molto spesso abbiamo accesso a queste vite solo attraverso i barlumi di potere che le illuminano per screditarle. Sono le parole degli altri che fanno il mondo dei poveri e lo mettono agli arresti domiciliari».
Anche la letteratura è trascinata da questo desiderio di parlare al posto dei poveri. «Quando se ne interessa, nel XIX secolo, è molto spesso per collocarli nelle grandi causalità sociali della degenerazione (Zola) o nella distinzione tra buoni e cattivi poveri (Dickens). Solo Hugo riesce a restituirgli il suo potere di vita senza cancellare il mondo in cui vive». Ciò su cui invece il filosofo vorrebbe fare perno è l’importanza della costante prova a cui queste persone sono perennemente sottoposti. Ed è attraverso questa prova che possono subire anche una sorta di trasformazione. E a subire un cambiamento dovrebbe essere anche il mondo in cui viviamo, in cui essere poveri insegna a stare lontano dal capitalismo da cui siamo pervasi, in un’ottica di sobrietà in cui l’intera società dovrebbe mettersi alla prova.
“POVERTÀ È ESSERE COSTRETTI A LAVORO INCESSANTE”
Quella del filosofo è una «critica della violenza economica esercitata sui più poveri». Guillaume Le Blanc a L’Humanité spiega perché definisce la povertà «una zona grigia tra lavoro e non lavoro». Molto spesso, infatti, «è questa zona intermedia tra lavoro retribuito e lavoro non retribuito». Inoltre, bisogna mettere in discussione «il pregiudizio secondo cui i poveri sono fannulloni», perché la realtà è diversa. «Vivere in povertà è essere costretti a un lavoro incessante, la cui caratteristica principale è innanzitutto quella di essere un lavoro non retribuito.
I senzatetto letteralmente non si fermano; sopravvivere vuol dire lottare per andare, qui ai bagni pubblici, là ai Restaurants du Coeur, poi andare a questa o quell’associazione, poi ancora per avere un appuntamento in questo o quell’ufficio. I poveri non si fermano e questo lavoro non è mai considerato lavoro». Infine, il filosofo osserva che «lo spreco, la predazione, l’estrazione illimitata del capitalismo siano oggi ciò che minaccia il nostro pianeta». Il mondo è «molto più in pericolo ecologico a causa del Nord America che dell’Africa, a causa della ricchezza che della povertà». Bisognerebbe allora rivedere la società, «utilizzare piuttosto che possedere, rimettere in circolazione piuttosto che possedere!».