Come sappiamo i mutui sono aumentati a seguito dell’aumento dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale Europea. La scelta della BCE, cioè quella di adottare una politica monetaria restrittiva, è motivata dalla prevalenza della visione degli economisti che vedono nell’aumento dei tassi una soluzione all’inflazione. I cosiddetti falchi in effetti hanno avuto ragione , ma ogni scelta intrapresa potrebbe comportare delle conseguenze che sono in grado di modificare il programma economico delle famiglie.
Tassi sui mutui: i tassi scenderanno dal secondo semestre 2023?
Tuttavia era già previsto che nel 2023, a partire dal secondo semestre, i tassi sui mutui si sarebbero finalmente abbassati e che la discesa sarebbe però proseguita fino al 2025. Si tratta di proiezioni dovute all’ipotetico scenario di una soluzione del conflitto oppure di una attuazione più concreta delle alternative concernenti le forniture delle materie prime che hanno subito un drastico calo durante il conflitto in Ucraina.
Le rate sui mutui, per quanto concerne i tassi di interesse, prevedono comunque un picco nel 2024 con una diminuzione di due punti percentuali entro il 2025. L’impatto sul PIL sarà immediato e già nel 2023 si registra una riduzione dell’attività economica del 2% nei prossimi tre anni.
L’obiettivo per la BCE è quello di tenere il tasso di inflazione intorno al 2%, una mission impossible se si pensa che l’anno scorso il tasso di inflazione ha toccato il 10% in Europa.
Tassi sui mutui: le difficoltà delle famiglie
Per poter raggiungere questo traguardo, si prevedono tre anni di intenso lavoro che agiranno prevalentemente intorno ai tassi di interesse per tenere possibilmente stabile la politica dei prezzi.
Ciò avrà un impatto inevitabile anche sui tassi sui mutui dal momento che nell’ultimo anno questi hanno anche superato il 4%, da un lato rendendo impossibile la sottoscrizione di un mutuo da parte di quelle famiglie che non hanno visto un sostanziale incremento del proprio stipendio e così vedendo mancare i requisiti necessari per poter onorare un tasso d’interesse che, prima dell’incremento dell’inflazione, si aggirava intorno all’1%.