Stamattina sono riuscito a mettermi in contatto con la dottoressa Natasha, che era stata nostra ospite per un anno e due mesi. Dopo un periodo di due settimane passato a Kiev, dove finalmente ha potuto riabbracciare suo marito, sua figlia Katarina e suo papà, è dovuta andare a Kharkiv. Se non l’avesse fatto la facoltà di medicina, dove è titolare di una cattedra, l’avrebbe licenziata.
Bisogna pur dimostrare al mondo che l’Ucraina è viva, e che funziona! Già, funziona; ma ormai una buona parte della città di Kharkiv è ridotta a un cumulo di macerie. Il quartiere dove abitava Natasha è irriconoscibile. Ora, non solo la sua casa, una delle prime a essere state colpite, non c’è più, ma neanche quelle che erano vicine.
Così non si può che piangere, con Katarina che di notte ricomincia ad avere crisi di panico. A Porta Venezia non bombardavano e le uniche sirene che si sentivano, raramente, erano quelle delle ambulanze di passaggio.
Ora, una volta esplicate le formalità burocratiche con l’università, è proprio il caso di ritornare a Kiev, dove la vita sembra quasi normale.
Anche i nonni devono convincersi che per ora non vale la pena “tenere la posizione”. È un compito, caso mai, da lasciare ai soldati. Verrà poi (ma quando?) il tempo della ricostruzione, e allora, finalmente, trasformate le macerie in una grande “Montagnetta di San Siro”, si potrà ricostruire.
A questo punto il pensiero non può non andare all’alluvione in Emilia-Romagna e alle sue conseguenze. Fare un parallelo con il dramma dell’Ucraina è chiaramente impossibile, ma notare che anche in Italia c’è chi può in poche ore perdere tutto, o quasi, è quasi doveroso. Eliminate battute di dubbio gusto, tipo “piove, governo ladro” o “adesso vediamo che cosa i comunisti saranno capaci di mettere in comune”, si tratta, ancora una volta, di dimostrare che il bene comune non è un concetto astratto.
Credo che sarà inevitabile che il Governo faccia il Governo e che l’opposizione faccia l’opposizione, a parti invertite per quanto riguarda la Regione Emilia-Romagna. Però non si può non ricordare che il dolore non ha colore politico, come, probabilmente, il gruppo degli spalatori volontari. In queste occasioni piuttosto si potrà mettere alla prova quello in cui si crede. Se si tratta di difendere i valori o anche di far vedere come li si vive.
In questo senso non solo il dramma dell’Ucraina o quello dell’Emilia-Romagna, ma anche la scomparsa di un vecchio parrocchiano richiedono quell’attenzione per ogni uomo che Qualcuno ci ha testimoniato.
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