Non sono bastate le tragedie successe in questi anni nel Triveneto, in Calabria in Sardegna e nelle Marche affinché il problema del dissesto idrogeologico del nostro Paese fosse un tema presente nell’agenda parlamentare. La ricerca del colpevole, dell’errore nelle previsioni, del chi avrebbe potuto fare cosa per evitare l’ennesima perdita di vite umane serve a poco se non si considera che, oltre ai fenomeni meteorologici estremi sempre più imprevedibili a causa del riscaldamento globale, la questione della prevenzione è un problema culturale che abbraccia tutti gli aspetti connessi alla vita delle persone e dei lavoratori. Quello che è capitato in queste settimane in Emilia Romagna è l’ennesima tragedia annunciata.
Per fare un parallelismo, in Italia l’evoluzione culturale del tema della prevenzione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro affonda le sue origini a partire dagli anni ’50. Ci sono voluti trent’anni di mobilitazioni sociali e sindacali, di evoluzioni del diritto interno e poi comunitario, di dibattiti sviluppati dalle Organizzazioni internazionali, affinché si consolidasse la cultura della prevenzione e della “massima sicurezza tecnologicamente possibile” a scapito della “monetizzazione del rischio”. E, nonostante tutto, i dati Inail ci ricordano che i diritti acquisiti vanno continuamente difesi.
Sulle tematiche ambientali, quindi, non partiamo dall’anno zero. Abbiamo modelli di evoluzione culturale e operativa da cui attingere che, con i dovuti accorgimenti e considerazioni attuali, possiamo mutuare e applicare. A partire dalla prevenzione e, nel caso specifico, dalla mitigazione del rischio. I rimedi per contrastare il dissesto esistono e sono strettamente legati alla volontà di salvaguardare il territorio, superando il conflitto tra cultura ambientalista e interventista, dato che molti lavori di risanamento vengono contestati per il loro impatto ambientale, mentre quelli che vengono finanziati scontano tempi lunghissimi tra progettazione, assegnazione dei lavori e collaudo che però a fronte delle ultime riforme collegate al Pnrr, hanno ridotto la tempistica.
I governi nazionale e regionali devono porre l’attenzione sulla necessità di dare continuità operativa ai piani di tutela contro il dissesto idrogeologico – “Proteggi Italia” da ultimo, preceduto da “Italia Sicura” e “Sblocca Italia” – e sulla possibilità di cooperare per una grande delocalizzazione programmata di attività produttive ed edifici residenziali in territori più sicuri. Aiuterebbe, a tal fine, ripristinare una Struttura di Missione sul dissesto idrogeologico presso il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica.
I finanziamenti, e su questo punto possiamo tutti facilmente concordare, ci sono e sono consistenti.
L’Emilia Romagna è tra le regioni in cui le percentuali di territorio potenzialmente allagabile e di popolazione esposta a rischio di alluvione per i tre scenari di pericolosità, risultano superiori rispetto ai valori calcolati alla scala nazionale. Per uno scenario di pericolosità media le aree potenzialmente allagabili raggiungono il 45,6% dell’intero territorio regionale e la popolazione esposta supera ampiamente il 60%. Le province con maggiori percentuali di territorio inondabile sono Ravenna e Ferrara con percentuali che arrivano rispettivamente all’80% (87% di popolazione esposta) e quasi al 100% in caso di scenario di pericolosità media da alluvioni. Per Modena la percentuale di aree allagabili è il 4,3% (53,3% di popolazione esposta), Bologna 50% (56,1% di popolazione esposta) e Forlì-Cesena 20,6% (64% di popolazione).
Sarebbe utile avere un sistema unitario di banca dati di gestione dei fondi, ma anche superare le difficoltà delle amministrazioni nazionali e locali nello svolgere funzioni ordinarie che hanno portato, nel tempo, al ripetuto ricorso a gestioni commissariali ed emergenziali.
Il tema del dissesto idrogeologico costituisce un argomento di particolare rilevanza a causa degli impatti non solo sulla popolazione e sulle infrastrutture, ma soprattutto sul tessuto economico e produttivo. Non può esserci sviluppo e soprattutto sviluppo sostenibile su un territorio fragile. Transizione ecologica, digitale e sociale devono andare di pari passo con la messa in sicurezza del nostro Paese. Sarebbe irragionevole spendere le risorse del Pnrr per far rilanciare il Paese europeo maggiormente interessato da fenomeni franosi – con circa i 2/3 delle frane censite in Europa – se prima non lo si cura.
Bene l’attenzione unitaria di tutta la politica davanti al dramma delle donne, degli uomini e del territorio della Romagna, ma la questione ambientale – senza ideologismi – deve essere trasversalmente la priorità di tutti, a partire dal decisore politico, dal cittadino, dal lavoratore e dalle imprese.
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