L’annuncio è di quelli che potrebbero spazzare via dubbi e polemiche: il potenziale di riscaldamento globale della carne sintetica (o meglio a base cellulare, come suggerito dall’Oms), definito in equivalenti di anidride carbonica emessi per ogni chilogrammo prodotto, è da 4 a 25 volte superiore a quello della carne bovina tradizionale. Lo dicono i risultati di una ricerca condotta nell’Università della California a Davis dal gruppo diretto da Derrick Risner, appena pubblicata sul sito www.biorxiv.org come contributo alla chiarezza in un campo d’indagine molto recente sul quale crescono le ombre.
Principali imputati della portata inquinante della carne sintetica – affermano i ricercatori – sarebbero gli altissimi costi energetici e il forte consumo esponenziale di risorse idriche richiesti dal processo di produzione. Il sistema di valutazione dell’impatto ambientale adottato dalla ricerca porta del resto dritti in questa direzione. I ricercatori hanno infatti condotto una valutazione del ciclo produttivo della carne a base cellulare stimando l’energia utilizzata in ogni fase con gli attuali metodi di produzione, un parametro che è grosso modo indipendente dal tipo di carne prodotta. In particolare, è stata focalizzata l’attenzione sulle sostanze nelle quali vengono fatte crescere in laboratorio le cellule staminali che sembrano avere un forte impatto sull’ambiente, in particolare a causa dei processi di trattamento necessari per evitare la formazione di tossine o batteri. Il risultato è che la produzione della carne in laboratorio è più impattante dal punto di vista ambientale rispetto a quella proveniente dalla zootecnia tradizionale.
Lo studio segna quindi un punto a favore di chi si è speso contro il fenomeno, fornendo una valutazione che si aggiunge peraltro a un altro parere eccellente, già capace di dare forza a un atteggiamento prudenziale. Le preoccupazioni ambientali indicate dal mondo della ricerca – ricorda Coldiretti – fanno seguito a quelle relative ai rischi per la salute censiti dal recente Rapporto pubblicato dalla Fao e dall’Organizzazione mondiale della sanità, che hanno individuato 53 pericoli potenziali, dalle allergie ai tumori, connessi ai cibi a base cellulare.
“Dal mondo scientifico – afferma il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – cominciano ad arrivare conferme sulla necessità di rispettare il principio di precauzione di fronte ad una nuova tecnologia con molte incognite che rischia di cambiare la vita delle persone e l’ambiente che ci circonda”. E da qui l’appello: “Proprio per questo – conclude Prandini – la sfida che la Coldiretti lancia alle istituzioni europee è che i prodotti in laboratorio nei processi di autorizzazione non vengano equiparati a cibo, bensì a prodotti a carattere farmaceutico”.
Intanto, però, va ricordato che l’Italia ha già preso provvedimenti in materia, varando un disegno di legge che vieta la produzione, la commercializzazione e l’uso di cibo artificiale, e che dovrà ora essere discusso e poi approvato dal Parlamento. Un provvedimento preso anche sulla scorta della mobilitazione avviata da Coldiretti, che ha raccolto “mezzo milione di firme di cittadini e coinvolto oltre 2mila comuni e tutte le regioni di ogni colore politico e di esponenti di ogni schieramento che hanno sostenuto la proposta in modo bipartisan”.
“Anche su questo il Governo Meloni aveva ragione – è la conclusione affidata all’Ansa del ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida -, motivo per cui con coraggio e lealtà abbiamo approvato la prima legge nel mondo che proibisce la produzione, la commercializzazione e l’importazione di alimenti in vitro. Prodotti che sono nemici della salute, dell’ambiente, della nostra economia e, quindi, anche della nostra civiltà”.
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