Forse ha ragione l’ultimo straordinario Paul Simon, forse davvero a Berlino qualcuno ha cominciato a canticchiare Good morning, Mr Indignation/ Looks like you haven’t slept all night/ In my professional opinion/ Go back to bed and turn off your light.
Perché in my professional opinion, meglio in my personal opinion, l’idea con cui Maurizio Landini si è presentato al congresso europeo dei sindacati, la Ces, con la proposta cioè di “una mobilitazione di tutto il mondo del lavoro europeo” è vagamente vecchia e tutto sommato abbastanza scontata. Altro che scioperi e piazze piene: in Europa va bene una mobilitazione. E se le parole hanno ancora un senso, mobilitarsi non è scioperare. Chissà perché? Certo Ursula non è Giorgia e qualche cosa in più della Presidente nostrana finora lo ha dimostrato, ma il punto non è il giudizio sui politici, sempre personale e sempre contestabile, il punto è politico: perché di fronte a quello che lui legge come un attacco ai diritti, all’Europa sociale, al mondo del lavoro, a Berlino si parla una lingua e a Roma un’altra?
Boh, ma ci sembra fuori discussione che quello che nei giorni scorsi si è presentato sul palco di Berlino è stato, come dire, un Maurizio Landini di governo più che di lotta. Davanti ai 600 delegati provenienti da 41 Paesi del Vecchio continente il Maurizio nazionale tra una sottolineatura dell’eccezionalità del momento, l’evocazione della coda della pandemia e un riferimento alla guerra in corso si è limitato a buttar là un accenno a “una crisi di sistema” e ad ammonire che “la risposta non può essere il ritorno alle politiche di austerità”. Sarà che in Europa nei congressi fan parlare davvero tutti e perciò si è costretti a ridurre i tempi degli interventi, anche di quelli di chi regna sulla Confederazione europea dei sindacati, sarà che lì Maurizio è al Governo (un rappresentante delle tre confederazioni italiane siede sempre nel board dell’organizzazione e poco importa se stavolta tocca al toscano e cislino Romani), ma in quei quattro minuti e mezzo non si è visto il solito combattente, l’uomo delle piazze, il guerriero dei cancelli presidiati. Insomma, quello che con voce tutto sommato salottiera più che comiziante ha spiegato che bisogna rilanciare “l’idea della costruzione di un’Europa sociale fondata sulla giustizia sociale, sui diritti del lavoro e su nuovi investimenti” ci è sembrato (molto) lontano parente del dirigente che nei confini nazionali sollecita con martellante routine uno sciopero generale.
Sì, va bene, tutto il sindacato europeo “deve mettere in campo un’azione unitaria” capace di indicare questa strada, ma volete mettere a confronto l’appello all’unità “di tutto il mondo del lavoro che quando è unito ottiene dei risultati importanti: dalle direttive sul salario minimo e sulla contrattazione a quelle sul telelavoro, lo smart working, i lavoratori delle piattaforme e i rider” e l’instancabile pubblicitario di mobilitazioni? Certo Maurizio ha spiegato che “insieme a Cisl e Uil veniamo da un mese di manifestazioni. E cosi in Francia, in Belgio, nel Regno Unito” e ha sospirato, quasi con aria sognante, che sarebbe bello fare una manifestazione europea! Ma per ottenere cosa?
Beh, intanto il segretario Cgil ha premesso che “ci sono Paesi, come la Germania e la Spagna, dove il sindacato ha ottenuto dei risultati importanti” e poi ha aggiunto che per questo a settembre bisognerà organizzare “una grande manifestazione di tutto il sindacato europeo. Sarebbe il giusto modo per festeggiare i cinquant’anni della Confederazione europea dei sindacati”.
Ah ecco, finalmente ci siamo: si tratta di fare un regalo di compleanno, di celebrare un genetliaco. Insomma, cara Ces per il tuo anniversario regalati una bella manifestazione su una piattaforma unitaria dopo aver formalizzato un calendario di mobilitazioni a carattere nazionale a partire già dal mese di giugno.
Credeteci o no, ma a noi non pare una gran motivazione. Ecco forse si poteva trovare di meglio.
L’impressione a Berlino è che in trasferta Maurizio renda meno, sia meno performante, si accontenti del pareggio. Non che in Europa manchino i problemi e che per i sindacati ci sia poco da fare, anzi, ma il punto è che ammannire sempre le stesse ricette per pranzo e cena comporta il rischio che la clientela se ne vada altrove, verso un’altra mensa. I sindacati europei hanno storie, tradizioni e visioni radicalmente diverse: lì non si può fare i rivoluzionari in servizio permanente effettivo. Occorre quindi sempre considerare che ci sono alcuni sindacati che vengono colpiti da orticaria istantanea quando ci si mostra, ad esempio, troppo poco russofobi: sarà anche per questo, magari, che sull’Ucraina il leader Cgil abbia stigmatizzato la “guerra folle e criminale voluta da Putin”, con parole che entro i confini nazionali avrebbe forse affogato in qualche distinguo e nella melassa di un ragionamento più generale.
E dunque da accorto politico ha buttato la palla fuori dal campo di gioco e aspettato tempi (e occasioni) migliori: magari arriveranno quando si giocherà in casa. In fondo lì, a Berlino, si era a casa di quella Dgb che fa della partecipazione, della cogestione e della contrattazione i cardini della sua azione. Per il momento basta non aver preso nessuna imbarcata: per la rivoluzione si attendono tempi più propizi.
Eh sì. Uno scrive e in sottofondo suona la chitarra di Seven Psalms. Un altro, o magari sempre lo stesso, è indotto a credere che la voce che canta When I was young/ I carried my guitar down to the crossroads/ And over the seas/ Now those old roads are a trail of volcanoes sia quella del geniale Paul newyorchese e poi in realtà si accorge che chi sussurra quei versi è l’emilianissimo Maurizio. Amen!
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