Cosa è successo in questi giorni? Certo, innanzitutto, una tragedia, morti, distruzione, panico e sentirsi impotenti davanti ad un evento incontrollabile; ognuno di noi è poca cosa davanti alla devastazione della natura. Ma è accaduto solo questo?
Ad alcuni amici dicevo che questo periodo mi ha fatto nascere più domande che certezze. Prima il Covid, poi la guerra, poi qui in Romagna il terremoto, che già ci aveva costretto a evacuazioni quotidiane dalle scuole e risvegli improvvisi nella notte, i disagi psichici di tanti giovani dovuti a questi eventi, i suicidi, e infine l’alluvione, con la sua devastante violenza sulla città. Perché tutto questo? Perché così tutti insieme e ravvicinati questi eventi? Perché ai miei figli è toccato vivere tutto questo? Potrei andare avanti, ma sono le domande di tutti e le conosciamo bene. E allora dove si è fatta avanti qualche certezza? Nel fare? Nello spalare fango? Basta forse il fare per trovare consolazione alla distruzione e alla morte?
Il susseguirsi di questi eventi così negativi e violenti è come se ci suggerissero già la risposta.
No, il nostro impegno di questi giorni in mezzo al fango non ci salverà dalla fine che faremo tutti. Potrà consolarci e potrà consolare, ma ci risparmierà prima o poi dalla stessa fine? Perché questa è la durissima realtà che facciamo spesso finta di dimenticare e che l’alluvione ci ha ricordato con violenza. Ognuno di noi è creatura finita e fragile. Questa domanda però è il seme della risposta: la nostra ricerca e il nostro muoverci per gli altri è il punto di partenza, non l’arrivo.
Me lo ha fatto capire il dialogo con due uomini dell’autospurgo provenienti dall’Abruzzo. Mentre cercavamo di far riemergere dal fango un piano di una casa allagata, mi raccontavano che quando hanno sentito la notizia della devastazione hanno preso i loro mezzi, lasciato il loro business, dicendo “io devo andare, non posso rimanere a casa”. Perché partire e aiutare? Che cosa cercavano questi giovani amici?
Tutti cercano una risposta a questa semplice domanda: ci può essere una speranza anche nella devastazione e nella morte? Ecco cosa stiamo cercando in quel fango, siamo alla ricerca di qualcosa di prezioso, un tesoro per l’eterno, qualcosa o qualcuno che ci dica che la nostra misera vita ha una speranza ultima anche davanti alla morte e all’alluvione. Altrimenti rimarrebbe soltanto l’attesa e la speranza, vana, che la prossima tragedia non accada più.
Ci muoviamo alla ricerca di una speranza, altrimenti saremmo poco più di quel fango che stiamo spalando, con l’unica certezza che prima o poi saremo parte di quella stessa terra. No, siamo di più, siamo fatti per l’eterno e anche queste circostanze ce lo stanno rivelando. Non è un caso che i più giovani, i più fragili in questi ultimi anni, siano scesi per primi in strada a spalare e a cercare, alla ricerca di qualcosa che cambi la loro vita sofferente e alla ricerca di qualcuno che dia senso alla vita e alla morte.
Spero che tanti possano aver intravisto qualcosa come è accaduto a me, soprattutto nei volti dei più fragili, come spesso ci richiama Papa Francesco a cercare Cristo in loro. Perché tutti stiamo cercando Lui, la Sua carezza, la compagnia di Colui che è eterno e che si è reso uomo per patire con noi, per mostrarci con evidente chiarezza che quella speranza che stiamo cercando nel fango si è fatta uomo; perché dopo la devastazione e la paura della morte in croce, c’è la Resurrezione.
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