Dopo oltre un anno dallo scoppio del conflitto appare evidente come se esiste forse un “vincitore” per ora, da questa assurda guerra scatenata da Putin, questo non può che essere la Cina. Il grande dragone, infatti, che ha mantenuto finora un ruolo sul filo del rasoio di una difficile diplomazia, stando ben attento a non oltrepassare quel confine imposto dall’Occidente, almeno ufficialmente, che riguarda l’invio degli aiuti militari alla Russia, ha cercato di massimizzare, come da tempo sta facendo, anche questa situazione a suo vantaggio. E i risultati stanno certamente dando ragione ai cinesi.
La Cina ha tratto pieno vantaggio dall’isolamento di Mosca in seguito alla sua aggressione contro l’Ucraina ed è emersa come partner principale e indispensabile ormai per la Russia di Putin. Ma non senza ricevere chiaramente adeguate contropartite dal punto di vista diplomatico e soprattutto commerciali ed economiche, vera grande ossessione della Cina di Xi Jinping. Un esempio, che è passato sottotraccia nei grandi media occidentali (oltre a quelli cinesi controllati dal regime), chiarisce molto meglio di mille parole questo concetto. Dal 1 giugno il porto russo di Vladivostok sarà operativo come porto di transito cinese. Situato sull’Oceano Pacifico, il porto vede un traffico annuale di container di quasi un milione di unità. Ma soprattutto il porto ceduto proprio dalla Cina alla Russia nel 1863, rappresenta un importantissimo sbocco commerciale verso il mare per l’interno nord-orientale della Cina.
Il porto di Vladivostok, precedentemente noto come Haishenwai durante il dominio della dinastia Qing, fornirà il transito transfrontaliero per le spedizioni commerciali interne nella provincia di Jilin, nel nord-est della Cina. L’amministrazione generale delle dogane cinesi (GACC) lo ha annunciato il 16 maggio scorso sul suo sito web senza troppi clamori. La mossa, afferma Pechino, è in linea con il suo “piano strategico nazionale per rivitalizzare la base industriale della Cina nord-orientale e facilitare il trasporto transfrontaliero di merci commerciali nazionali con l’uso di porti d’oltremare”. Con la sanzione occidentale che paralizza l’economia russa, la sua dipendenza dalla Cina è destinata ad aumentare.
Il commercio bilaterale tra Cina e Russia si è attestato a 73,15 miliardi di dollari nei primi quattro mesi del 2023, con un aumento del 41,3% su base annua, secondo il GACC. Il primo ministro russo Mikhail Mishustin ha recentemente firmato un ordine del governo che approva un accordo intergovernativo per la fornitura di gas naturale alla Cina attraverso la rotta del gasdotto dell’Estremo Oriente, che termina a Vladivostok. “Con l’apertura del porto di Vladivostok, la Cina e la Russia possono impegnarsi in una maggiore cooperazione nella costruzione e nella logistica portuale, migliorando ulteriormente la vitalità economica della Cina nord-orientale e lo sviluppo nell’Estremo Oriente russo”, ha detto Song Kui, capo del Contemporary China-Russia Regional Economy Research Institute, citato dal Global Times.
Senza contare che le dure sanzioni imposte da Usa e Paesi europei al gas e al petrolio russo hanno permesso alla Cina di ricevere forniture di queste preziose materie prime a prezzi stracciati (nel 2021, il 72% del consumo di petrolio greggio della Cina proveniva dalle importazioni e il 45% del gas naturale proveniva sempre dalle importazioni). E poi c’è il mercato automobilistico cinese che proprio dalla guerra ha ricevuto una spinta in grado di farle superare il gigante giapponese. Sulla scia dell’aumento delle consegne in Russia e della crescente domanda di veicoli elettrici, infatti, la Cina ha superato il Giappone come principale esportatore di auto al mondo nel primo trimestre del 2023.
L’industria automobilistica russa è stata colpita dalle sanzioni economiche che hanno costretto i principali attori globali a lasciare il Paese, il che si è rivelato un incentivo per l’industria automobilistica cinese. Secondo i dati diffusi dalla China Association of Automobile Manufacturers, le esportazioni di automobili nel periodo gennaio-marzo hanno registrato un enorme balzo del 58% rispetto all’anno precedente. Il Paese ha esportato 1,07 milioni di unità durante il trimestre rispetto ai 950.000 veicoli esportati dal Giappone. La Russia è emersa come la principale destinazione di esportazione per tutti i veicoli di fabbricazione cinese. Le esportazioni verso Mosca sono triplicate rispetto all’anno precedente arrivando a 140.000 unità. La Cina ha anche esportato quasi 30.000 camion in Russia, che potrebbero essere utilizzati per scopi militari: è quasi sette volte il volume dell’anno scorso.
Senza contare che Pechino si sta anche rafforzando sul piano diplomatico e della sua influenza sul resto del mondo. I Paesi sudamericani, Lula in testa, sono andati a far visita a Xi Jinping, manifestando la loro intenzione di scrollarsi di dosso il peso troppo ingombrante del vicino americano e della sua moneta, che sta in qualche modo controllando surrettiziamente le loro economie da decenni. Ma anche alcuni Paesi arabi hanno mostrato in questa guerra un atteggiamento ondivago nei confronti delle sanzioni occidentali contro la Russia e non è un segreto che il ruolo della Cina in Medio Oriente sia cresciuto anche grazie alla sua posizione nel conflitto in Ucraina. A marzo, Pechino ha mediato un accordo storico tra Iran e Arabia Saudita che potrebbe aiutare ad allentare le tensioni in Medio Oriente.
L’Arabia Saudita ha anche rafforzato in modo significativo i suoi legami energetici con la Cina firmando un accordo di intesa da 3,6 miliardi di dollari per l’acquisto del 10% della cinese Rongsheng Petrochemical, che la vedrebbe fornire 480.000 barili al giorno di greggio alla società. Insomma, per la Cina anche il drammatico conflitto in Ucraina è stata una occasione per aumentare la sua influenza strategica ed economica sul mondo, con buona pace di Washington.
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