La tensione è ancora alta, ma potrebbe scendere ne prossimi giorni. Sarebbe senza futuro la protesta dei serbi che sono maggioranza in alcuni Comuni del Nord del Kosovo e che potrebbe essere stata guidata proprio da Belgrado. Il pericolo che questi scontri siano la scintilla per far scoppiare una nuova guerra nei Balcani, però, resta molto basso, anche perché la Nato aumenterà i soldati della Kfor.
Così la pensa Azra Nuhefendic, giornalista e scrittrice bosniaca che collabora con il quotidiano di Trieste “Il Piccolo”. L’unica strada per uscire da questa situazione è che continuino le trattative tra le parti per arrivare a una conciliazione. Anzi, secondo l’opposizione serba a Belgrado, il presidente Vucic, in realtà, saprebbe già che ormai le enfatiche dichiarazioni sul fatto che il Kosovo sia il cuore della Serbia non possono trovare riscontro nella realtà: tutto sarebbe già deciso. La Serbia, secondo questa versione, dovrà mettersi il cuore in pace e rinunciare definitivamente al Kosovo.
C’è veramente il pericolo di una nuova guerra nei Balcani?
No, non ci sarà un’altra guerra.
Eppure Vucic ha schierato l’esercito sui confini: i soldati resteranno dove sono?
Vucic è impotente da questo punto di vista, ha portato l’allerta dell’esercito al massimo livello, ma i soldati non può far altro che lasciarli sul confine. Non possono oltrepassarlo. Questo non è un gioco di guerra, è un’azione di disturbo. Il Kosovo è un limbo in cui c’è una criminalità serba legata ai politici di Belgrado.
La protesta di questi giorni, quindi va letta in questo contesto?
Non a caso la protesta è scattata in più di una città dove i serbi sono in maggioranza: è tutto organizzato e le direttive arrivano da Belgrado. Pretendono di avere un’unione delle municipalità: ma questo è un altro livello di autonomia ed è esattamente quello che i kosovari non vogliono. Il primo ministro kosovaro Kurti lo ha detto chiaramente: “Non vogliamo un’altra Repubblica serba in Kosovo”.
Negli accordi però era prevista la creazione di municipalità serbe: sono stati disattesi?
Ci sono gli accordi, ma ogni parte li evoca quando serve a lei, succede per i serbi come per i kosovari. L’opposizione in Serbia, comunque, è convinta che Vucic abbia già firmato un’intesa e che il Kosovo sia ormai perso per il Paese. Il presidente starebbe solo aspettando il momento giusto per dire che per il Kosovo non si può più fare nulla, cercando di evitare di passare come l’unico colpevole. Quando parlo con i colleghi, con la gente che è all’opposizione a Belgrado, tutti mi dicono che Vucic ha già concluso un accordo. Quando va a parlare con i kosovari va da solo, non porta con sé una delegazione.
Ma come si è arrivati a questa situazione?
La Serbia dagli anni 80 in poi ha sempre reagito con la forza nei confronti dei kosovari, diminuendo i loro diritti. In 30 anni dopo la guerra del ’99 è cresciuta una nuova generazione, ma in Serbia non si parla dei crimini di guerra, dei corpi degli albanesi uccisi e seppelliti in fosse comuni vicino a Belgrado. Su questo la gente serba non sa nulla, perché non se ne parla. Non sanno neanche che Sarajevo è stata sotto assedio per quattro anni o che a Srebrenica c’è stato un genocidio. E lo stesso accade con il Kosovo: le nuove generazioni sono cresciute pensando che il Kosovo sia il cuore della Serbia. Nessuno ricorda che Vucic fu uno degli alleati di Milosevic.
Come si può risolvere il problema dei rapporti con il Kosovo? Come si esce da questo guaio?
La Nato ha già deciso di mandare altri 700 soldati. La situazione è blindata, non si può fare nulla. Le proteste continueranno, ma tra una settimana o dieci giorni finirà tutto. In realtà la gran parte della popolazione serba in Kosovo sarebbe disposta a una conciliazione, ma non li lasciano fare. La gente comune non scende in piazza con le molotov in mano: è tutto legato alla criminalità.
La Serbia da una parte è amica della Russia e dall’altra vuole entrare nell’Unione Europea: sarà costretta a scegliere?
Vucic sta cercando di fare quello che aveva fatto Tito per 50 anni: parlare con l’Est e con l’Ovest per rimanere non allineato. Una politica che funzionava all’epoca, ma non oggi.
L’Europa può fare qualcosa per chiarire la situazione?
L’Unione Europea ha congelato per più di dieci anni la situazione nei Balcani, lasciando la possibilità ai cinesi e ai russi di farsi avanti, occupando lo spazio lasciato libero.
La Serbia entrerà nell’Unione Europea?
No. E non entrerà neanche la Bosnia. È un gioco. Basta guardare alla Turchia: è da tempo che si parla della sua possibilità di entrare e non se ne fa niente.
Adesso, allora, cosa bisognerà fare per cercare di pacificare il Kosovo?
Bisognerà trattare. Da 30 anni i serbi stanno facendo la stessa cosa: boicottano le elezioni e quando gli albanesi kosovari prendono le redini della vita nei Comuni si ribellano. Non si fa così.
Blinken intanto ha preso posizione contro il Governo di Pristina. Che ruolo hanno gli Usa in tutto ciò?
Finora i kosovari erano molto sostenuti dagli americani, adesso gli Usa hanno reagito in modo forte agli scontri di questi giorni, dando colpe anche al Governo di Pristina. Ma bisogna saper leggere anche queste prese di posizione diplomatiche. Se qualcuno dice: “Condanniamo”, ma senza proporre misure, significa che non vuole fare niente.
Alla fine il rischio di un conflitto c’è o no?
No, non credo. Ci saranno tensioni, incidenti, ma non la guerra. È ancora più improbabile dopo che la Nato ha deciso di mandare altri soldati. Chi potrà mai farla? Questo è solo un sassolino nella scarpa. Un modo per sviare l’attenzione dall’Ucraina, per aiutare Putin. Quando gli dicono di lasciare Donbass e Crimea lui ribatte: “Avete fatto la stessa cosa con il Kosovo”.
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