“Il mistero dell’iniquità è già in atto” (2Ts 2,7). A questo mistero Paolo Prosperi dedica il suo nuovo libro, dal titolo Sulla caduta degli angeli (Studium, 2023). Un significativo, denso saggio inter-disciplinare nel quale, alla luce della Rivelazione e attingendo al patrimonio plurisecolare della tradizione cristiana, egli affronta la questione al tempo stesso nell’ambito della teologia, dell’esegesi biblica e della letteratura. Il lettore si trova circondato e accompagnato da un gran numero di santi, di geni e (last but not least) di santi-geni, tra i quali san Giovanni Evangelista, sant’Agostino, i santi Padri Cappadoci, san Bonaventura, san Tommaso d’Aquino, Fëdor M. Dostoevskij e John R. R. Tolkien. Un’ottima compagnia nella quale, senza voler troppo allegorizzare, san Giovanni occupa un posto di guida simile a quello di Gandalf nella “Compagnia dell’Anello”.
Ad ogni modo, ciò che conta non è tanto quel che i singoli uomini abbiano inteso, ma che cosa è la verità. E il cristianesimo ci addita sia un Mysterium Trinitatis e un mistero della creazione ad opera delle Persone divine – questi sono misteri di Dio –, sia un mysterium iniquitatis, che però non proviene da Dio, ma dalla creatura spirituale (prima lucifero e gli angeli ribelli, poi il genere umano) che, creata libera da Dio, misteriosamente si ribella contro di Lui, decadendo dall’ordine nel quale il Creatore l’aveva posta.
Il mistero del male non è nel Principio, ma ha un reale inizio in una creatura che ebbe origine da Dio: nell’angelo che divenne il diavolo. Diversamente da quel che oggi si tende a pensare, esso esiste e, come insiste Papa Francesco, non è affatto “un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea”.
A partire da un “punto di vista ontologico-teologico” Prosperi indaga la causa profonda della “mentalità liberal-nichilista” oggi imperante in Occidente, soggetta ad un pathos anarchico, ad una “brama di libertà per la libertà”: studiando alcuni tipi umani mirabilmente descritti nei romanzi di Dostoevskij (la giovane Liza, il principe Stavrogin, l’anarchico Kirillov), l’autore rinviene il fascino seducente del tragico dinamismo (spirituale e psicologico) della libido libertatis nella titanica ribellione alla Volontà divina. E, ponendo la domanda del perché lucifero per primo si sia ribellato a Dio, medita sull’incipit cosmogonico de Il Silmarillion, opera concepita dall’immaginazione mitopoietica di Tolkien: avendo chiesto Ilúvatar (Dio) ai suoi Ainur (gli angeli) di sviluppare in una Grande Musica un tema possente da Lui stesso rivelato, uno di essi, Melkor (lucifero), desidera invece creare cose proprie a partire da sé e non dalla Fiamma Imperitura di Ilúvatar, che esso invidia.
Ha così inizio la cattiva dissonanza, che è discordanza, ribellione, deformazione e caduta di quella parte delle schiere angeliche che aderiscono a Melkor. All’inizio del male, “una caduta sub-creativa”: la brama di creare (libido creandi), ma non in obbedienza a Dio, bensì desiderando di essere come Dio. In che senso?
Nella sua angelologia, san Tommaso d’Aquino spiega come il peccato del diavolo consista nel desiderare di essere come Dio per somiglianza, cioè nella perversa volontà di farsi simile a Dio secondo una perfezione che compete a Dio solo, vale a dire l’essere Creatore del cielo e della terra. Il diavolo, prosegue Tommaso, “desiderò di conseguire con le proprie forze la beatitudine ultima, il che è proprio di Dio”. A questo suo primo, anarchico desiderio seguì quello di avere un certo dominio sulle altre creature. Il primo peccato del diavolo – così Tommaso – fu dunque la superbia, il secondo l’invidia del bene altrui, di Dio e dell’uomo.
Per protervo auto-inganno e rifiuto della Paternità del Padre, il diavolo divenne “padre della menzogna”. Il duro giudizio di Gesù nei confronti dei Giudei di Gerusalemme, attestato dal quarto evangelista (Gv 8,41-47), nell’indicare quale sia la condizione di vera figliolanza dell’uomo nei confronti di Dio – amare Gesù – e nello smascherare la falsità dei suoi interlocutori che dicono di avere Dio per Padre, mentre hanno per padre il diavolo e bramano compiere i suoi desideri, rivela il nucleo della ribellione del diavolo e della sua pseudo-paternità nei confronti di quelli che cadono nella sua menzogna: esso “non è rimasto saldo nella verità” (Gv 8,44).
L’odio contro il Padre che il padre della menzogna insinua nei cuori degli uomini si esplicita nell’odio contro Gesù. Perché l’odio mortale degli uomini nei confronti del Figlio di Dio incarnato, Autore della vita? Ultimamente, l’unica risposta ragionevole è quella di Gesù: “Mi hanno odiato senza ragione” (Gv 15,25; // Sal 35,19; 69,5), laddove tale cieca assenza di ragioni è l’irrazionale avversione, il più ostinato rifiuto della Grazia di Dio donata gratis (doreán: Mt 10,8; Rm 3,24; Ap 21,6; 22,17). Scrive Prosperi: “Dicendo no al dono di Dio la creatura dà al suo destinatario meno del dovuto. Dicendo sì alla creatura che ancora non esiste o alla creatura decaduta, Dio dà invece al destinatario del suo dono più del dovuto”.
Nell’esaminare il rapporto “tra il carattere immotivato di un dono e l’immotivato rifiuto di riceverlo”, l’autore poi si chiede se il rifiuto senza ragioni (doreán) di accogliere il dono di Dio non significhi forse un rifiuto della superiorità del Donatore rispetto al destinatario del dono. E aggiunge: “E non è allora forse vero che nel rigettare i doni divini ciò che il ribelle sta tentando di fare è esattamente scimmiottare la libertà sovrana che nell’iniziativa del donatore si esprime?”.
Mediante un’analisi della polisemia del termine “gloria” nel quarto Vangelo, Prosperi mostra inoltre come esso indichi innanzitutto la dignità divina di Gesù, “la Sua gloria come di Unigenito dal Padre” (Gv 1,14). Altrove Gesù afferma che chi Lo glorifica è il Padre (Gv 8,54) e che l’ora della Sua glorificazione avverrà misteriosamente con il Suo innalzamento sulla Croce (Gv 3,14; 8,28; 12,32). Gesù non cerca la Sua gloria (Gv 7,18; 8,50-54) nel senso pagano di fama e onori tributati dagli uomini (Gv 5,41-44). Quanto alla conformazione a Cristo su questo aspetto, notiamo che l’autocoscienza dei cristiani della giovane Chiesa è assai nitida: “Sono disprezzati, ma nel disprezzo sono glorificati” (Lettera a Diogneto V,14).
Il saggio di Paolo Prosperi ci sembra aiutare, tra l’altro, a prendere in seria considerazione l’antica e sempre nuova “dottrina delle due vie”: chi rimane come figlio obbediente nell’irradiazione d’Amore paterno del Padre – la “Fiamma imperitura” di Ilúvatar (Tolkien), la “Fiamma viva d’Amore” (san Giovanni della Croce) – diviene sempre più la persona unica che è chiamato ad essere ed è reso capace di feconda generazione, specialmente di quella spirituale nell’animo altrui e nelle proprie opere, dalle minime (solo apparentemente insignificanti) fino alla creazione artistica.
Chi invece si ribella alla Paternità di Dio cade prigioniero (captivus) della cattiva pseudo-paternità del diavolo, la “scimmia di Dio” (simia Dei) che, avendo desiderato irraggiare luce e paternità proprie, fa di tutto per formarsi una massa uniforme di schiavi e va in cerca degli uomini “per ghermirli e nel buio incatenarli” (Tolkien) o, detto crudamente, perciò con san Pietro, “come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare” (1Pt 5,8). Come disse un filosofo e martire del XX secolo, quelli che seguono un capo diventano tutti uguali, quelli che seguono Cristo diventano tutti diversi. O uomini amici e, al tempo stesso, servitori di Dio nella via della Vita, o burattini della scimmia nella via della Morte. Non c’è una terza via. L’ha cantato bene sant’Ireneo di Lione, quando scrisse: “La gloria di Dio è l’uomo vivente” (Adv. haer. IV,20,7). Scrisse anche: “Questa è la gloria dell’uomo: perseverare e permanere nel servizio di Dio” (ivi, IV,14,1).
È il Mistero di vita e di “reciprocità feconda” delle Persone divine a gettar luce sul significato ultimo dell’operare creativo dell’uomo, chiamato dall’Artista divino a condividere secondo una certa somiglianza la Sua potenza creatrice, pur nell’infinita distanza tra Creatore e creatura.
Ed è qui, osserva Prosperi, che si sbaglia “l’interpretazione anarchica” del compimento delle aspirazioni creative dell’uomo, cioè “nel fatto che opponendo il desiderio di creatività all’amore per il già reale ed esistente, il creare all’accogliere, il dare al ricevere, l’anarchico si allontana dalla fonte stessa della vera creatività, che è in ultima analisi una sola: l’Amore”. Quell’Amore che, oltre a muovere il sole e l’altre stelle (cosa di per sé non trascurabile) fa dell’uomo – che ecco, già “era cosa molto buona” – un capolavoro: “Amore, che dài forma / ad omnia c’à forma, / la forma tua reforma / l’omo ch’è desformato” (beato Jacopone da Todi, Laude, 39, vv. 91-94).
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