Haftar che arresta mille migranti in attesa di partire per l’Italia proprio dalle zone, quelle della Cirenaica, dalle quali è arrivata la maggior parte delle persone destinate alle coste del nostro Paese. Ma anche operazioni di controllo a Ovest, nelle zone in cui agiscono trafficanti e contrabbandieri. La situazione della Libia, da tempo in cerca della stabilità mai ritrovata nel dopo Gheddafi, è in evoluzione.
Ora Dbeibah e Haftar, che governano il primo nell’area intorno a Tripoli, il secondo in quella di Tobruk, stanno anche cercando di mettersi in mostra per far vedere alle milizie locali chi comanda e per ribadire all’esterno del Paese, all’Italia in particolare, che sono attori fondamentali nello scenario libico. Un attivismo che a Est risponde alle pressioni esercitate dall’Egitto e che potrebbe significare una diminuzione dei flussi migratori verso le coste italiane. Lo spiega Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di InsideOver.
Haftar ha fatto arrestare nei giorni scorsi mille migranti, è un segnale all’Occidente e all’Italia che vuole essere considerato ed è in grado di governare il suo territorio?
In realtà il territorio lo ha sempre controllato, anche quando le sue milizie hanno agevolato, direttamente o indirettamente, il traffico di essere umani. Adesso si intuisce che il suo interesse sia quello di passare dall’altro lato della barricata: far capire che trattando con lui, riconoscendo il suo ruolo in Libia è possibile fermare il flusso di migranti.
Le persone arrestate che fine faranno ora?
È possibile che i cittadini egiziani che sono, se non la maggioranza, tra i gruppi principali che partono dalla Cirenaica, vengano fatti tornare in Egitto. Il governo egiziano esercita una forte influenza su Haftar, è possibile che dietro questa nuova strategia di Haftar ci siano le pressioni del Cairo. Inoltre, Egitto e Italia hanno ottimi rapporti, le richieste egiziane potrebbero essere arrivate anche attraverso Roma. Per quanto riguarda gli altri cittadini, in alcuni casi si tratta di persone che erano già lì per lavorare, per esempio i bengalesi, che operano nei cantieri o anche nelle raffinerie. Questi potrebbero tornare alle attività che avevano prima di pensare alla partenza. Se si tratta di gente arrivata negli ultimi tempi, vista come è andata nell’Ovest della Libia, è possibile ipotizzare la creazione di nuove strutture dove trattenere in maniera precaria questi migranti.
Il fatto che Haftar si sia mosso adesso dopo che ha incontrato a Roma il Governo italiano, quindi, non è casuale?
Assolutamente no. Haftar non è in cerca di soldi ma di riconoscimento politico. Essere invitato a Roma è bastato per cambiare rotta. In più c’è da considerare l’attivismo dell’Italia in particolare con l’Egitto. E questo gli ha fornito un motivo in più per cambiare la sua strategia. Ha ottenuto quello che voleva.
C’è da aspettarsi una diminuzione dei flussi, almeno dalla Cirenaica?
Sì, perché negli ultimi giorni le immagini di migranti respinti sono state parecchie. Ci sarà un po’ di respiro su questo fronte, ma lo stesso dovrebbe accadere dalla parte occidentale. Nelle ultime settimane si è assistito in Tripolitania a raid contro miliziani e trafficanti operanti in quella regione. C’è da aspettarsi almeno un ridimensionamento delle stime sugli arrivi fatte nelle ultime settimane. Dbeibah e Haftar non lo fanno certo per amore dell’Italia o della giustizia, ma per affermare di fonte alle milizie operanti nelle loro zone di competenza chi è che comanda realmente e controlla il territorio.
Ci sono voci di un possibile accordo tra Dbeibah e Haftar per tenere le elezioni, sono credibili?
Non c’è niente di ufficiale, ma di ufficioso sì. Hanno capito che è meglio cercare di allearsi per non perdere i proventi derivanti dalla vendita del petrolio e anche per non danneggiarsi a livello politico. Si parla di un nuovo Governo con esponenti sia di Haftar che di Dbeibah.
Ma per quanto riguarda il voto si può ipotizzare una data? L’Onu vorrebbe che le elezioni si tenessero entro il 2023, è possibile?
Le Nazioni Unite sono state sempre molto ottimiste. È dal 2014 che organizzano elezioni: ogni anno doveva essere l’anno giusto. Non ci sono elementi veri che facciano pensare al voto. C’è un piano dell’Onu, che però è solo sulla carta. Bisogna vedere come evolverà il dialogo Dbeibah-Haftar: se arriveranno a un accordo ci sarà la possibilità che la Libia possa stabilizzarsi, ma parlare di urne è ancora prematuro. Se dovessero, per assurdo, ratificare un’intesa entro l’estate, prima che si verifichino le condizioni per le elezioni passerà ancora del tempo. Meglio andarci cauti.
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