L’ultima pressione plateale per la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) è arrivata il 2 giugno, festa della Repubblica. Non ratificarlo – parole testuali di Gentiloni alla Stampa, e dunque alla Meloni e al Governo – “è un rischio reputazionale”. Ma la reputazione ha sempre un côté politico. Un Paese che ha condiviso un accordo (sotto i governi Conte 2 e Draghi), ha detto Gentiloni, “ma che non mantiene questo impegno non ottiene certamente dei vantaggi”. Si chiama moral suasion.
“I mercati insegneranno agli italiani a votare”, disse il commissario Günther Oettinger. Domani non sarà più necessario. Grazie al Mes ratificato, “i mercati” potrebbero più facilmente attuare una speculazione sul debito e indurre un governo, il nostro, al chiedere aiuto al Fondo “salva-Stati” (altro nome del Mes).
Come? Lo spiega in questa intervista al Sussidiario Raphael Raduzzi, consulente finanziario, ex deputato uscito dai 5 Stelle non votando la fiducia al Governo Draghi, oggi impegnato in un partito non rappresentato in parlamento, Pro Italia.
Cosa pensa dell’argomento “reputazionale” di Gentiloni?
Sono le solite pressioni anti-italiane. Sappiamo come il Meccanismo europeo di stabilità ha agito in passato e oggi la sua riforma è peggiorativa di alcuni importanti tecnicismi. Dunque resto contrario. Quanto al tema dello standing, fa sorridere.
E perché?
La riforma del trattato è stata parcheggiata in Germania, in attesa della ratifica, per tutto il tempo che Berlino ha voluto. Finché la Germania non ratificava, nessuno diceva nulla, adesso che l’ha ratificata riprendono le pressioni? Non dimentichiamo poi che parliamo della riforma di un trattato già esistente. Quando c’era da ratificare il Mes vero e proprio, anche in quel caso la Corte di Karlsruhe aspettò mesi prima di dare il via libera, che arrivò soltanto dopo l’aggiunta di una clausola di “interpretazione autentica” del trattato, guarda caso in linea coi desiderata di Berlino. Nel frattempo nessuno fiatava.
Che cosa intende con “solite pressioni anti-italiane”?
Gli stessi esponenti politici che dovrebbero fare anche gli interessi dell’Italia nelle istituzioni Ue, dietro alla moral suasion non nascondono più le minacce spicce.
I favorevoli alla ratifica (“ratificare il Mes non comporta alcun obbligo di utilizzo”, M. Buti e G. Vitali sul Sole 24 Ore), utilizzano anche un altro argomento: non discutere come cambiare il trattato e poi, in subordine, ratificare; ma ratificare e poi discutere.
È un argomento da respingere al mittente, per un semplice motivo: vi è racchiusa la storia delle istituzioni finanziarie europee, dunque anche tutti gli errori che sono stati commessi. Dirò di più: questa logica è la prova provata che occorre fermarsi, proprio perché c’è qualcosa che non va.
A che cosa si riferisce?
L’aggregato economico Ue è quello che presenta la crescita economica inferiore a livello mondiale. Lo dobbiamo non solo alla congiuntura, ma anche alla “cassetta degli attrezzi” europea. I trattati e i regolamenti europei hanno un impatto determinante nella vita reale – e aggiungo, nelle sorti – dei singoli Stati. La Grecia insegna. Prima si discute, poi eventualmente si ratifica, non il contrario.
Su questo giornale abbiamo posto l’attenzione sul nuovo articolo 3. “Il Mes può seguire e valutare la situazione macroeconomica e finanziaria dei suoi membri, compresa la sostenibilità del debito pubblico, e analizzare le informazioni e i dati pertinenti”. È un’azione di monitoraggio preventiva. Questo che cosa implica?
È forse il punto più problematico di tutta la riforma. Per richiedere il sostegno finanziario al Mes, lo stesso dovrà svolgere una valutazione sulla capacità di ripagare il prestito, di fatto farà una analisi di sostenibilità del debito pubblico con parametri tecnici, cosa che oggi fa la Commissione che comunque ha anche una dimensione politica. Ma un domani lo farà anche il Mes in misura preventiva al di là di un’effettiva richiesta di prestito. E i mercati valuteranno molto attentamente il responso del Mes. Più di quanto avviene oggi con la Commissione.
Di fatto l’Italia è scivolata in una “trattativa” in cui la ratifica del Mes è oggetto di scambio con la possibilità di avere o non avere margini nella riforma del nuovo Patto di stabilità. È casuale?
Al contrario. Mes e Patto di stabilità appaiono sempre più chiaramente come gli strumenti di una manovra a tenaglia sul nostro debito.
Partiamo dal Patto di stabilità.
La sua riforma, alla luce della direzione che ha preso il confronto, è la classica montagna che ha partorito un topolino. Dopo anni di dibattito in cui i teologi dell’austerità dicevano che si doveva voltare pagina, scopriamo che i parametri di Maastricht non vengono assolutamente toccati, anzi, viene messa più enfasi di prima sul debito e sul suo controllo.
Il debito è il nostro tallone d’Achille.
Certo. Già prima, almeno sulla carta, non era l’unico criterio economico per valutare uno Stato. Adesso lo si sta facendo diventare l’unico parametro “sensato”. Per la Commissione e i fautori del nuovo Patto, s’intende, perché di per sé per valutare l’economia di un Paese vanno presi a riferimento molti altri parametri: il debito privato, la bilancia commerciale, ecc. Tutte cose su cui alcuni Stati del Nord Europa avrebbero degli evidenti problemi.
Dunque sarebbe il Mes a produrre e “bollinare” le condizioni per un ricorso al Meccanismo medesimo.
Potrebbe addirittura essere così, sì. Scopriremmo che le condizioni scaturiscono dalla valutazione dei mercati, che naturalmente nel contesto dell’eurozona, con una Banca centrale molto più prona agli interessi nordeuropei, potrebbero dar seguito alle preoccupazioni del Mes stesso. Saremmo nel mezzo di una serie di effetti che sarebbe davvero difficile prevedere e governare.
Nel frattempo cresciamo più del previsto.
E questo è sicuramente positivo. Per una serie di concause, non ultimo l’effetto Superbonus, ci è andata bene, nonostante l’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Bce. Ma a mio avviso rimaniamo in una situazione in cui ad accendere la miccia ci vorrebbe davvero poco.
In questo quadro, dunque, la ratifica…
Introduce nuovi fattori di ulteriore rischio. A cominciare dai titoli di Stato. Attualmente vigono le cosiddette clausole di azione collettiva “Dual limb”, che prevedono, in caso di ristrutturazione del debito, una doppia maggioranza sull’insieme di tutti i possessori di titoli di Stato e una maggioranza per singola tranche di emissione. A riforma in vigore, entrerebbero in vigore le clausole “Single limb”. Se ne è dibattuto molto, ma a mio avviso la questione è abbastanza semplice.
Può spiegarcela?
Diverrebbe più facile ristrutturare il debito pubblico in caso di necessità degli Stati, perché invece di ottenere una doppia maggioranza ne basterebbe una sull’intero ammontare. Lei ha 10mila euro in Btp? In caso di turbolenza finanziaria lo Stato italiano le potrebbe dire che domani mattina valgono 7mila euro perché l’Italia deve ridimensionare il suo debito e perché la maggioranza dei possessori, banche o fondi in gran parte, hanno accettato la proposta.
Ed è qui che entrano in gioco i mercati?
Sì, perché se ristrutturare il debito è più facile, chi investe su quei titoli può dire: bene, ora chiedo un rendimento maggiore se capisco che le cose si stanno mettendo male… Ecco, tra nuovo ruolo del Mes, e nuovo Patto di stabilità che accenderà un faro supplementare sul debito, iniziano a interagire dei fattori che, sommati, potrebbero creare un effetto domino molto pericoloso.
La proposta di legge di ratifica del Mes, targata Pd, approderà in Aula per la discussione il 30 giugno. Cosa faranno Pd e Renzi-Calenda, un vero e proprio blocco pro-Mes, lo sappiamo, ma gli altri? Cominciamo dai 5 Stelle, che lei conosce bene.
I 5 Stelle, inizialmente contrari, hanno via via ceduto. Non mi aspetterei che domani fossero contrari alla riforma, anzi, nonostante nel programma elettorale del 2018 fosse previsto lo smantellamento del Mes ormai quasi difendono la riforma.
Anche lei faceva parte del Movimento.
Nel novembre 2020 feci una dura battaglia interna, non votando la risoluzione di maggioranza che autorizzò Conte a firmare il Mes. Poi le strade si sono definitivamente divise col governo Draghi.
Forza Italia?
È sicuramente per la ratifica.
La Lega?
Una parte della Lega si oppone, l’altra rispecchia l’orientamento di Giorgetti; non si farebbe alcun problema a dire sì alla ratifica. Potrebbero astenersi. Oppure, ma personalmente non ci scommetterei, l’intera Lega potrebbe fare il gioco politico di rappresentare l’opposizione interna al Governo.
Vuol dire che FdI dirà sì? Eppure, la Meloni ha giurato da Vespa di non ricorrere al Mes – anche se giurare di non ricorrervi, sapendo come funziona il Mes, ha poco senso.
Appunto. Non mi aspetterei grandi dimostrazioni di coraggio da parte di chi, in questa legislatura, ha già dimostrato di seguire quasi pedissequamente l’agenda Draghi.
(Federico Ferraù)
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