Quando ho appreso che sono stati ritrovati sani e salvi i quattro bambini colombiani, sopravvissuti prima all’incidente aereo in cui hanno perso la vita la mamma e il pilota, poi, a quaranta giorni di solitaria resistenza alle micidiali insidie della foresta amazzonica, la prima cosa cui ho pensato sono stati… gli ex voto. Sì, quei mille cuoricini col nastrino annodato e incisa la scritta G.R., per Grazia Ricevuta, che gremivano le pareti di tanti piccoli santuari di campagna, e quei tanti ingenui quadretti raffiguranti un bimbo malato nel lettino che guarisce, un contadino ferito per un incidente nel lavoro e risanato almeno quanto basta per riprendere a sgobbare, un ragazzo caduto nella roggia e salvato dall’annegamento. Scene della realtà, realisticamente anche se non proprio artisticamente rappresentate; fatti con i loro protagonisti. Non solo quelli “ovvi”, ma anche la Madonna o un santo (più di rado un angelo). Presenze nella realtà fattuale che sono stati riconosciuti come il tramite della Grazia Ricevuta. Quei quadretti non sono semplicemente un caso di studio sulle vecchie forme della pietà popolare, ma la documentazione di un certo sguardo, di un certo rapporto con la realtà. Una tensione di conoscenza che non si ferma all’apparenza.
Scorrendo sabato le news su internet e ieri qualche quotidiano cartaceo, mi ha colpito il ritorno della parola miracolo. “Miracolo nella giungla” è, per esempio, il titolo a centro pagina della foto notizia in prima sia di Avvenire (tradizione cattolica) che del Giorno-QN (tradizione popolare). Apperò, mi sono detto di primo acchito. Ma di secondo acchito, leggendo, non ho potuto fare a meno di notare che si era scritto miracolo per modo di dire. Un po’ come si dice bomba d’acqua, allarme rosso, silenzio assordante, e mille altri luoghi comuni inflazionati per pigrizia intellettuale o ignoranza di sinonimi. Scristianizzazione e relativismo hanno reso tante parole biodegradabili, certamente la parola miracolo. Come fosse oggetto di un attacco enzimatico, da batteri e funghi che rendono l’organico inorganico. Ne fa fede per esempio il dizionario Treccani: miracolo in primo grado è evento meraviglioso che eccede i limiti della prevedibilità… operato da Dio stesso direttamente o tramite qualcuno; in secondo (de)grado evento che sembra miracoloso, che ha dell’incredibile (nell’occhiello di Avvenire, pagina interna, non c’è più la parola “miracolo” ma “incredibile”), in terzo (de)grado significa semplicemente fenomeno non comune, come miracolo economico.
Usata in questo modo biodegradato, cioè per modo di dire, la realtà pur indicata come miracolo pur eccezionale deve avere una spiegazione normale, plausibile, a portata di mano. La nonna! Sì, la nonna. Un vero manuale della giovani marmotte live. Gli insegnamenti della nonna – famiglia alto-borghese – esperta di foreste. Quasi una Pachamama: sublime il Giornale nel suo afflato sacrale: “Lo spirito guida della nonna che ha salvato i bimbi”, ecc.).
Ora non si tratta di aprire discussioni se trattasi di miracolo in senso stretto o meno, ma di interrogarci su qual è lo sguardo più adeguato alla realtà. Se l’impatto originario e il più possibile libero da pregiudizi ci fa cogliere la realtà come segno anche di qualcosa d’altro o se tutto si può ragionevolmente ridurre a quel che appare d’acchito o è misurabile con il metro del già saputo. La prima opzione ci fa scoprire che la realtà è (anche) provvidenziale, è “per me”. Nonna esperta di bacche commestibili e foresta amazzonica comprese.
La seconda opzione porta all’astrazione, in qualche modo a non-vivere il reale, ad escludere cioè pregiudizialmente la provocazione che la realtà stessa suscita in qualsiasi uomo, facendo emergere le domande fondamentali di senso e la necessità di aprirsi a una risposta che non le censuri in nome dei pregiudizi consacrati come assiomi o postulati indiscutibili. Primo fra tutti quello per cui (parola di Cornelio Fabro) “Dio se c’è non c’entra”. Se non si trova altra spiegazione – putacaso, se non si trova una nonna – si sentenzia che il fatto non sussiste.
L’inizio del distacco dall’uomo religioso, al principio dell’epoca moderna, non si è giocato in una querelle su Dio ma sull’uomo e sul modo di vivere e conoscere la realtà. Nel post-moderno avanzato, in rotta verso il metaverso e l’intelligenza artificiale, cioè oggi, la partita è, se possibile a maggior ragione, a quel livello.
Per questo, gira e rigira, preferisco gli ex voto al manuale delle giovani marmotte.
Sia detto senza amarcord.
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