Si fa sempre più vicino il doppio appuntamento macroeconomico clou di questa settimana: domani, infatti, si conosceranno le decisioni di politica monetaria della Fed, mentre giovedì quelle della Bce. E se oltreoceano non si esclude che i tassi vengano lasciati invariati (in un intervallo compreso tra il 4,75% e il 5%), l’Eurotower dovrebbe alzarli di 25 punti base, raggiungendo così il 4%. «L’Eurozona si sta allineando ai tassi americani. Il rialzo di 25 punti base è quasi scontato», spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
Questo nonostante una Germania e un’Eurozona in recessione tecnica?
La situazione dell’economia europea dovrebbe ragionevolmente far pensare a una conferma dell’attuale livello dei tassi, ma l’obiettivo principale della Bce resta quello di portare l’inflazione al 2% e, come si è visto a maggio, c’è una certa eterogeneità nell’andamento dell’indice dei prezzi nei Paesi appartenenti all’Eurozona: si va dal +2% del Lussemburgo al +12,3% della Slovacchia. Il punto vero è che l’andamento dell’inflazione non dipende solo dai tassi di interesse.
Perché?
Perché ci sono altre dinamiche che non sono sotto il controllo della Bce. Pensiamo solo ai prezzi dell’energia, che non dipendono solo dalla domanda e dall’offerta, ma anche dalla presenza di cartelli, accordi di fornitura, situazioni meteorologiche, geopolitica, ecc. In buona sostanza, il rialzo dei tassi ha un impatto certo sulla crescita dell’economia, ma non è detto che riesca a frenare l’inflazione come nelle intenzioni. Certo, si registra una discesa, ma lenta e accompagnata da una continua restrizione dell’attività produttiva.
La Bce alzerà i tassi anche alla fine di luglio?
È difficile prevederlo. Sicuramente se fossero lasciati invariati adesso si avrebbe la possibilità di poter vagliare dopo più di un mese se è necessario realmente alzarli o se invece è possibile lasciarli ancora agli attuali livelli. Considerando che comunque ad agosto non sono in programma riunioni del Consiglio direttivo per prendere decisioni di politica monetaria, si potrebbe anche pensare di rialzare ora i tassi per poi lasciarli successivamente invariati e decidere il da farsi a metà settembre.
Se la Fed lasciasse invariati i tassi non sarebbe più facile per la Bce fare altrettanto?
In linea principio di sì, ma non bisogna trascurare due aspetti. Il primo è che difficilmente Powell deciderà di lasciare invariati i tassi, come vorrebbe, senza avere il sostegno di una solida maggioranza all’interno del Fomc. Il secondo è che non dobbiamo trascurare il fatto che i tassi di interesse incidono anche sui cambi valutari e che i beni energetici si pagano in dollari. Quindi, la Bce potrebbe comunque alzare i tassi per far apprezzare l’euro nei confronti del dollaro e per questa via incidere sull’inflazione.
Se la Bce continuerà a rialzare i tassi, ci sarà anche una divaricazione nelle performance delle economie simile a quella che vediamo ora per l’inflazione?
Tenderei a rispondere di sì. Probabilmente la divaricazione potrebbe non essere particolarmente evidente perché tutta l’Eurozona è in frenata. Del resto è ben vero che l’Italia sta andando meglio di altri Paesi, ma se ci si pensa bene stiamo parlando di zero virgola. Credo che divaricazioni ci saranno anche internamente ai Paesi, per esempio tra Nord e Sud Italia, con il primo che risentirà in parte della frenata tedesca. Dunque, sarà importante che la politica guardi non solo a quel che avviene nel resto d’Europa, ma anche all’interno del Paese.
L’economia tedesca si riprenderà?
La Germania è in tensione perché i mercati su cui ha prosperato in questi primi anni Duemila sono tutti i in fibrillazione, a partire dalla Cina. Sarei tentato di rispondere che si riprenderà perché la sua economia è dinamica anche sul piano innovativo. Però ci vorrà del tempo e questo non aiuterà la congiuntura italiana.
(Lorenzo Torrisi)
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