E adesso? Come la mettiamo con l’eredità politica di Silvio Berlusconi? Di sicuro sarà l’interrogativo che segnerà i prossimi mesi della politica italiana. Per di più il problema non può avere una risposta univoca, ma deve essere scomposto in vari quesiti. Di sicuro un erede politico c’è, almeno come leader dei moderati italiani. Giorgia Meloni quel ruolo se l’è conquistato sul campo, nelle urne il 25 settembre. Non ha aspettato che qualcuno la incoronasse.
Il nodo è dunque Forza Italia, sotto il duplice aspetto di ceto politico aderente ad un partito e di consenso elettorale, che non è più quello dei tempi migliori, ma rimane pur sempre significativo. E qui si inseriscono anche le preoccupazioni del Quirinale, dal momento che la scomparsa del leader azzurro fa saltare un equilibrio politico che sembrava consolidato. Le possibili turbolenze sono segnali che una fase di instabilità potrebbe aprirsi a breve, l’esatto opposto di quel che si augura Mattarella, che pure si situa politicamente agli antipodi dell’attuale maggioranza di centrodestra. Una maggioranza traballante non è nell’interesse del Capo dello Stato.
Davanti a Forza Italia e ai suoi dirigenti si aprono quattro diversi scenari, che teoricamente, almeno, potrebbero persino convivere. Le sirene sono rappresentate da Meloni, Salvini e Renzi, mentre il tentativo più coraggioso sarebbe di riuscire a far sopravvivere il partito, magari dandogli una veste nuova.
Renzi rappresenta la tentazione di un progetto moderato “terzista”, ma a suo svantaggio è il fatto di non essere parte dell’area di governo. Di non avere nulla da offrire in termini di potere. Al contrario, Fratelli d’Italia e Lega sono gli alleati attuali, e qualche parlamentare potrebbe essere tentato di cercarvi rifugio, per garantirsi un futuro politico. Lo hanno già fatto in parecchi in passato. Un nome per tutti, Laura Ravetto. Le porte, però, non sembrano spalancate, né dalla parte di Salvini, né da quella della Meloni. Non è casuale.
Pare che il tema del futuro del centrodestra sia stato affrontato nei mesi scorsi nelle conversazioni fra i tre leader, e tutti si siano trovati d’accordo sul fatto che un unico rassemblement di centrodestra non sia nell’interesse di nessuno. Questione di identità differenti da offrire agli elettori.
Ecco allora che una forte rappresentanza dei moderati continua ad avere senso, anche senza Berlusconi. Forza Italia, che rappresenta in Italia il brand del Partito popolare europeo, in astratto potrebbe addirittura diventare attrattiva di quel pulviscolo di gruppi centristi che gravitano nell’orbita del centrodestra (Udc di Cesa, “Noi moderati” di Lupi, “Cambiamo” di Toti, e altri). Una quarta gamba del centrodestra aveva senso quando bisognava dare un’alternativa votabile a quell’elettorato centrista che si sentiva parte dell’area moderata ma non intendeva votare Berlusconi. Ora quel faticoso progetto di quarta gamba non ha più senso, e tutti i moderati potrebbero ritrovarsi intorno a Forza Italia, orfana del fondatore, e magari attrarre pure qualche frangia del terzo polo, o addirittura del Pd scontento. Un elettorato che può valere un 10%.
Servono parecchi elementi perché questo progetto ambizioso abbia una chance. Anzitutto che il gruppo dirigente di Forza Italia non affondi nelle lotte intestine. Rischio concreto, essendo stato da sempre il carisma del leader l’unico vero collante del partito (e anche dell’elettorato rimasto fedele). In questo un ruolo rilevante potrebbe essere giocato dalle scelte che farà la famiglia. Il Cavaliere ha profuso oltre 90 milioni di euro in 10 anni per tenere la barca a galla. Ora quel debito Forza Italia deve discuterlo con i figli di Berlusconi. Il loro parere sarà essenziale, qualunque via gli azzurri intendano prendere. Se qualcuno dei figli volesse prendere il posto del padre, nessuno potrebbe impedirlo. Anche il simbolo, formalmente di proprietà del tesoriere del partito, l’87enne ex senatore Alfredo Messina, un uomo-azienda, è riconducibile alla famiglia.
L’equazione riguardante il futuro di Forza Italia ha troppe varianti per poterne prevedere il risultato. Unica certezza è l’orizzonte temporale: un anno esatto, da qui alle elezioni europee del 2024. Non ci sarà una prova d’appello.
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