Ha inventato il partito personale, ma non è stato un fenomeno solo italiano: il brasiliano Collor de Mello è venuto prima di lui, di Silvio Berlusconi, e altri hanno seguito il quattro volte presidente del Consiglio: Trump e Boris Johnson.
Tutti destinati ad essere inseguiti dai pm, perché, spiega Giulio Sapelli, economista, professore emerito di storia economica alla Statale di Milano, “in qualsiasi Paese la magistratura è la quintessenza dell’establishment” e ha visto in quegli “uomini nuovi” un pericolo per il suo potere. Adesso, però, il loro ciclo sembra essersi concluso.
Qual è stata la vera novità storica di Berlusconi?
Ha diffuso a livello mondiale il partito personale anti-establishment. Di fatto lo ha inventato lui. Ha sovvertito uno schema: i ricchi sono l’establishment, i poveri l’anti-establishment. No: la ricchezza, in politica, può essere anti-sistema.
Ci spieghi meglio.
Berlusconi ha fatto parte di un ciclo mondiale, cominciato in Brasile con Collor de Mello – che diventò presidente anche grazie all’appoggio della tv Globo –, proseguito in Italia con Berlusconi, negli Usa con Trump e in Gran Bretagna con Johnson.
Ciclo mondiale, ha detto. Cosa significa?
È stata una rivoluzione. Cos’hanno in comune questi quattro?
Le inchieste?
Esatto. Adesso però il mondo non è più come prima, è cambiato. E Berlusconi appartiene al “prima”. A cominciare tutto è stato Collor de Mello. Checché se ne dica in Italia, l’establishment era Lula.
Vuol dire che l’accanimento giudiziario aveva ragioni diverse da quelle sempre dichiarate da Berlusconi, ossia l’odio e l’invidia dei “comunisti” e via dicendo?
In parte sì, in parte no. La magistratura lo ha inseguito perché ha subito visto in lui un pericoloso sovversivo. Com’è stato per Collor de Mello, Trump e Johnson. In qualsiasi Paese, la magistratura è la quintessenza dell’establishment.
Berlusconi sovversivo di che cosa?
Dei poteri dominanti in quel momento. Nella seconda metà degli anni settanta Umberto Agnelli fu senatore Dc. Non è mai uscito da Torino e nessuno lo ha toccato. Berlusconi è stato eletto, è diventato capo del governo ed è cominciato l’attacco.
Guerra di poteri?
Sì. Gli Agnelli avevano un potere enorme. Hanno attaccato Berlusconi in ogni modo, per resistergli. Di chi era la stampa che lo attaccava?
Chi ha vinto la partita?
L’ha vinta Berlusconi, perché del potere degli Agnelli oggi non è rimasto praticamente nulla. Nell’Italia del ’94 invece non si muoveva niente senza che l’Avvocato non volesse.
La famiglia Berlusconi non era e non è tra le più ricche di questo Paese. Il potere di Berlusconi è stato Berlusconi stesso?
Certo. Il grande errore è stato l’incapacità di trovarsi un delfino. Ma è stato così per tutti: Trump ha un delfino? Reagan lo ha avuto? Questi uomini “sono” il potere che hanno e quando muoiono finisce tutto. Ripeto: Berlusconi non è un fenomeno provinciale, ma l’espressione di un fatto mondiale, legato alla dinamica del ciclo capitalistico. Ad un certo punto la borghesia industriale e colonialista, spompata, si ferma. Gli homines novi, quelli della finanza, della comunicazione, dello spettacolo, della rendita ne approfittano e subentrano.
Della magistratura abbiamo detto. Perché la sinistra ha odiato così tanto Berlusconi?
Perché non era più sinistra. Quando la sinistra si fonde con il movimento degli studenti, nel ’68 e nel post-sessantotto, smette di capire. È la verità di Pasolini, che davanti agli scontri di Valle Giulia non sta con gli studenti, ma coi poliziotti. La sinistra invece sceglie gli studenti.
E poi?
La sinistra non ha avuto più il coraggio di essere se stessa e ha cambiato nome. Nello stesso tempo ha smesso di capire il mondo. A quel punto, lo ha detto bene Cirino Pomicino nel suo ultimo libro, sceglie l’alleanza organica con la magistratura. E sostituisce la capacità di analisi con il manganello del pm.
Ezio Mauro ha detto che la fine di Berlusconi è cominciata nel 2009, con la lettera a Repubblica di Veronica Lario.
Si può far politica con una lettera di quel tipo? Non è più politica.
Qual è la sfida del post-Berlusconi?
Capire se il ciclo mondiale di cui Berlusconi ha fatto parte sta finendo. Probabilmente sì.
Per qual motivo?
Per affermarsi, Berlusconi e quelli come lui avevano bisogno di un mondo di relazioni internazionali fondato sulla coesistenza pacifica. Collor de Mello, Reagan, Berlusconi, Trump, Johnson sono o sono stati tutti leader pacifisti. Anche in questo, d’accordo col popolo. Il popolo non vuole mai la guerra, semmai a volerla sono le piccole folle, che sono una cosa completamente diversa.
E adesso?
Adesso il mondo è cambiato, siamo in un’economia di guerra, l’intelligence ha un peso crescente. “I servizi segreti Usa hanno annunciato che i russi faranno…”: quante volte abbiamo sentito questa frase in questi mesi? Ai tempi di Andreotti, ma anche di Berlusconi, sarebbe stato inconcepibile, perché il mondo era diverso. È grazie a Berlusconi che Putin ha pensato di entrare nella Nato. Di sicuro non ci ha più pensato dopo.
L’offensiva del 2011, che ha messo fine alla carriera politica di Berlusconi, veniva dall’establishment europeo, la Bce, su “ispirazione” – così ha detto Tremonti – di Merkel e Sarkozy. Perché Berlusconi è rimasto fedele al Ppe?
Non poteva fare altro. Nemmeno il Ppe aveva altre scelte, perché il più grande partito conservatore italiano era raccolto intorno a Berlusconi. Tutti gli altri tentativi moderati non sono mai andati a buon fine.
Almeno Berlusconi si sarà pentito di avere mandato Draghi a Francoforte. O per lo meno di non avere intralciato il suo corso.
Prima di essere berlusconiano, se mai lo è stato, Draghi è un uomo legato ad Andreotti e Pomicino. Non si può fare la storia con l’oggi. Da funzionario al Tesoro, Draghi era andreottiano puro.
Forza Italia, FdI, Lega formano una coalizione senz’altro debitrice del ruolo politico di Berlusconi. Ma questo centrodestra non è la succursale italiana del Ppe. Che cos’è?
È un’alleanza di governo espressione di un neoconservatorismo di massa che reagisce al politicamente corretto, al nuovo ateismo di massa e alle sue pratiche distruttive. È la scelta di chi chiede più patria, famiglia e benevolenza. Più benevolenza e meno fondazioni.
Questo neoconservatorismo è anche una eredità culturale di Berlusconi?
No, non c’entra nulla con lui. Berlusconi è stato un grande intercettore, ma intercettare non significa sempre comprendere. Da bravissimo presentatore che era non è mai stato “altro” da ciò che mostrava di se stesso. In lui non c’era doppiezza.
E anche questo a spiegare il suo consenso?
Soprattutto questo. Non a caso tutti gli attacchi, dall’uso della foto con la pistola sulla scrivania all’accusa di collusione con la mafia, sono stati tentativi di incrinare questa percezione. La maggioranza degli italiani, però, è molto più saggia di chi scrive o scriveva su Repubblica.
(Federico Ferraù)
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