Si è svolta a Bologna lo scorso 8 e 9 giugno la prima festa del delegato della Felsa Cisl. In cosa consiste la novità o l’eccezionalità di questo fatto? Come prima cosa occorre comprendere la figura del delegato. Il delegato (o la delegata, in questo caso il maschile è neutro) è il termine con il quale identifichiamo il rappresentante sindacale in azienda, ovvero non gli addetti che svolgono l’attività sindacale a tempo pieno, ma coloro che, pur prestando la propria attività lavorativa, hanno deciso di impegnarsi gratuitamente per essere al servizio e di supporto dei propri colleghi. Il delegato, infatti, è la prima linea dell’organizzazione sindacale, colui che l’aiuta a comprendere i problemi, contestualizzarli e allo stesso tempo orientare e fornire le coordinate adeguate, per individuare le soluzioni più pertinenti alle questioni poste.
È un ruolo profondamente sussidiario, in quanto avvicina coloro che sono chiamati a costruire le sintesi necessarie attraverso il negoziato, con i diversi aspetti della realtà oggetto del confronto; inoltre, esprime e realizza pienamente il concetto di partecipazione, tramite una delega che i suoi colleghi gli conferiscono per essere rappresentati: l’esercizio quotidiano, costante, dinamico (oltre che faticoso) del processo di rappresentanza costituisce l’architrave della partecipazione. Infatti, vi è una partecipazione diretta e indiretta (appunto per delega) dei lavoratori ai processi decisionali. Il delegato è la figura che forse qualifica maggiormente il sindacato come corpo intermedio, perché lo pone proprio in quella “terra di mezzo” tra la base e il vertice.
Il delegato, pertanto, ricopre un ruolo fondamentale non solo per il sindacato, ma per l’intera società. Per il sindacato, come abbiamo già visto, esercita un ruolo essenziale; ma anche dal punto di vista della collettività, in senso lato, ricopre una funzione non banale: l’esercizio di questa particolare e delicata delega di rappresentanza, con tutto quello che ne consegue, educa a una cittadinanza attiva, all’affronto dei problemi attraverso un protagonismo all’interno dei luoghi di lavoro e non una sterile passività scambiata spesso per il “non rompo le scatole in azienda”, che con il tempo genera una disaffezione per il proprio posto di lavoro.
Dato che un interesse esiste (che la propria azienda vada bene, che sia un luogo vivibile, garantendo le giuste condizioni economiche e di protezione sociale), occorre un luogo e un rapporto dove questo converga e trovi una sintesi con le altre singole posizioni. Una volta che questo esercizio si sperimenta in relazione al proprio lavoro, allora questo sguardo critico, capace e volonteroso di affrontare i problemi, trovare soluzioni condivise e giuste, diventa il medesimo approccio con il quale contribuire a migliorare la scuola dei propri figli, implicarsi nella vita del quartiere o della polisportiva (o anche del partito), in parrocchia, al circolino o in altre esperienze associative e aggregative.
In secondo luogo, occorre comprendere cosa sia la Felsa Cisl. La Federazione lavoratori somministrati atipici e autonomi è la categoria della Cisl chiamata a rappresentare tutto il mondo del lavoro no standard, ovvero quelle tipologie contrattuali flessibili, parasubordinate, finanche le partite Iva individuali. Diciamo, pertanto, la frontiera del mondo del lavoro dove occorre costruire nuove tutele e dove risiedono ormai consolidate fragilità lavorative e precarietà occupazionali. Pertanto anche “fare” rappresentanza è un’impresa ardua, soprattutto per l’insicurezza del proprio rapporto di lavoro e il rischio che ne deriva dall’esporsi in prima persona. Nonostante questo, nel corso degli ultimi 10 anni, come Felsa Cisl siamo stati rappresentati da 500 delegati.
La decisione di realizzare un momento di festa ha avuto come primo scopo quello di ringraziare queste persone che svolgono un servizio importantissimo. Inoltre, è stata una boccata di aria fresca ascoltare le testimonianze e gli interventi di queste ragazze e di questi ragazzi, e la loro capacità di affrontare i problemi nonostante una condizione per nulla semplice. Da chi è riuscito a garantire la parità di trattamento con i propri colleghi assunti direttamente, chi è riuscito nel tempo a portare contratti della durata di 2 giorni a contratti che durano diversi mesi, fino alla conoscenza e assistenza per accedere alle misure di welfare integrativo.
Esperienze diverse, in relazione a realtà diverse, accumunate però dall’impegno di persone che di fronte al proprio lavoro hanno deciso di dire “io”, di esserci con un protagonismo per nulla scontato e mai banale, tanto che nel tempo, questo “io” è diventato un “noi”, in grado di generare un coinvolgimento che determina un nuovo corso di partecipazione e responsabilità nel lavoro e nella società.
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