LA CORTE SUPREMA CONFERMA L’INDIAN CHILD WELFARE ACT DEL 1978
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso di mantenere in vigore l’“Indian Child Welfare Act” dando così ragione ai nativi americani che continueranno così ad avere precedenza nelle adozioni: è questo l’esito della votazione (conclusasi con sette pareri favorevoli e due contrari) che ha confermato in toto la legge promulgata nel 1978 (ICWA) e quindi respingendo la tesi di una coppia bianca del Texas che sosteneva come quel provvedimento costituisse una sorta di discriminazione razziale e andasse contro i principi sanciti dalla Costituzione a stelle e strisce. Ma andiamo con ordine e ricostruiamo la vicenda per comprenderne i contenuti.
La decisione della Corte Suprema con sede a Washington ha in sostanza confermato le disposizioni chiave dell’“Indian Child Welfare Act” entrato in vigore oramai 45 anni fa e che si era resa necessaria per mettere fine a quelli che i nativi americani sostenevano essere dei veri e propri abusi: di conseguenza il voto della Corte ha sancito che la legge non può imporre in modo inammissibile un mandato federale in quelle aree in cui il potere viene regolato dallo Stato; a sostegno della decisione dei giudici ben due secoli di diritto e decisioni del Congresso in materia di legislazioni riguardanti non solo gli Indiani d’America ma anche inerenti al diritto di famiglia. “La Costituzione non erige muri contro il diritto di famiglia” ha scritto Amy Coney Barrett, avvocato e giudice associato della Corte.
USA, “NATIVI AMERICANI HANNO LA PRECEDENZA NELLE ADOZIONI PERCHE’…”
Insomma, le famiglie native americane continueranno ad avere dunque la precedenza per l’adozione o l’affidamento dei bambini nativi come sancito nel lontano 1978, quando si decise di fare entrare in vigore questa legge per mettere un freno alla pratica molto diffusa di allontanare i bimbi dalle loro famiglie per farli integrare con la cosiddetta America bianca: la vicenda giudiziaria era nata e finita al centro delle cronache quando Chad e Jennifer Brackeen, la coppia di Fort Worth (Texas) precedentemente menzionata, aveva deciso di fare ricorso ai giudici federali dopo che si era vista negata l’affidamento di una bambina navajo (popolo stanziato nell’Arizona settentrionale e anche in parte nei territori dello Uta) di cinque anni per via proprio dell’ICWA.
La questione era finita davanti alla Corte Suprema che ha dato ragione alle tesi dei nativi secondo cui è nell’interesse del bambino l’impianto di quella legge e che loro meritano di essere riconosciuti come una classe politica e non solo come una categoria razziale. Grande apprezzamento per la decisione dei giudici che hanno confermato la sovranità tribale è stato espresso anche dal Native American Rights Fund che in un comunicato ha tenuto anche a ribadire come l’“Indian Child Welfare Act” rimanga ancora oggi lo standard di riferimento per il benessere dei bambini nativi americani; prima del 1978, infatti, secondo alcuni dati una percentuale compresa tra il 25 e il 35% dei bimbi indiani e nativi dell’Alaska veniva affidato a famiglie adottive o istituti con l’intento di integrarli e assimilarli nella società americana, mentre con l’entrata in vigore dell’ICWA si possono tutelare meglio non solo le famiglie, ma pure le loro tradizioni e l’identità culturale.