Ai tempi del Caimano la Giustizia era diversa. Che bella stagione: lo osservavi, vedevi dove si posizionava e subito, con tutta la forza, ti mettevi dal lato opposto. Sapendo che indignarsi, manifestare, girotondare era una gran bella mossa. Che poi qualche volta anche Berlusconi la diceva giusta sulla giustizia, non si poteva dirlo. Poche volte per carità. Ma c’erano delle cose che poi, scomparso lui, anche Líder Maximo ha ammesso. Effettivamente qualche ragione di sentirsi braccato l’aveva. Come ammesso da Vespa.
Detto oggi è un gesto di verità, ma fa comprendere il perché si sia fatto per anni fatica a tenere una posizione equilibrata e coerente con il garantismo (che a sinistra dovrebbe essere un mantra), ma si rischiava di impedire le urlate indignate che tanto piacevano per fare consenso.
Ora lui non c’è più. E la cosa si complica. La destra ha deciso di seguirne la posizione smantellando un reato mai amato, l’abuso di ufficio, impedendo inoltre il giro di brogliacci di intercettazioni nelle redazioni, rileggendo anche alcuni reati innovativi che hanno creato la fobia di inchieste costruite più per curiosità che per perseguire crimini. Il tutto è coerente con il lascito politico di Berlusconi, lo è meno la ferrea applicazione della legge che si chiede sui migranti, sui reati legati alle droghe, sulle norme per i reati commessi da immigrati. Contraddizione destinata ad emergere.
Ma la sinistra? La cosa diventa davvero complicata. Nel partito che aveva 6mila sindaci, decine di migliaia di assessori, che hanno amministrato e gestito tanti enti, il reato di abuso di ufficio era semplicemente odiato. Un’ipotesi di inchiesta che si basava su di una “visione” del pubblico ministero senza che vi fosse passaggio di denaro o altra ipotesi corruttiva. Eppure, sotto le sciabolate grilline, ogni ritocco alla norma suonava come una lasciapassare all’ordalia dei corrotti. In realtà tante le inchieste, poche le condanne.
Ora che sta per essere abolito, Elly non sa bene che fare. Nel mentre va da Conte che manifesta su di un programma di 10 anni fa, cavalcando ancora i sentimenti (residui) antisistema, e deve decidere come approcciare la cosa. Tatticamente potrebbe opporsi, ma si metterebbe sulla scia di Giuseppi, chiudendo ad ogni ipotesi di riforma. Soprattutto porterebbe il Pd sul declivio giustizialista che ha fatto tante vittime anche tra le sue fila. Molti indagati, poi prosciolti, a livello locale contano tanto. E dire che loro non servono, osteggiando una riforma quasi necessaria, vuol dire spingerli altrove. Soprattutto vuol dire chiudere ogni dialogo sulle riforme e posizionarsi con il megafono nelle piazze che hanno però altri ispiratori, Conte su tutti, che scimmiottano Grillo senza tanto successo.
Accettare invece la sfida di una stagione di critica riformista avrebbe un senso politico di rilancio del Pd come forza di proposta e di visione. Aprendo ad Elly la strada di un vero percorso di crescita invece che nascondersi dietro la critica sociale radicale.
Il punto è capire se questi tempi sono la prosecuzione sotto altre forme del grillismo o se la stagione volge verso una costruzione di una proposta di governo credibile. Pare che ad oggi il Pd stia rincorrendo il rammarico di non essere stato grillino senza che però ci sia più un elettorato pronto a raccogliere questo umore. Perciò la giustizia è un banco di prova divisivo all’interno del partito. Chi vuole governare, o ha governato, nel Pd sa che il tema giustizia va governato e che la riforma è necessaria. Chi ha praticato più le piazze mediatiche vede nella critica radicale una facile scorciatoia per aggregare potenziali followers (che siano elettori si vedrà).
Il punto è che il Caimano, l’uomo delle leggi ad personam, quello che in molti casi ha cercato di piegare le norme alle proprie necessità è parte del passato e non si riproporrà nel futuro imminente come un pericolo da usare per tracciare una linea oltre la quale porsi in attesa che il consenso “contro” produca effetto. Molti nel Pd sanno di aver dato sponda sulla giustizia a certe posizioni per necessità e convenienza elettorale. Ma ora tenere il punto rischia di essere incomprensibile e controproducente chiudendo, inoltre, ogni dialogo potenziale con il centro dello schieramento politico.
Insomma, prima si prenderà atto che i tempi del Caimano sono finiti, e che non tornerà, prima il Pd tornerà a fare politica con discernimento e credibilità per i suoi elettori e dirigenti. Schlein può anche sperare di tenere il punto, ma rischia di sperare nella resurrezione del Caimano piuttosto che nella credibilità delle sue proposte come segretaria. La prima ipotesi è evidente più semplice ma, a naso, altamente improbabile.
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