Daniel Pennac, celebre scrittore che ha a lungo affascinato i lettori di tutto il mondo, in occasione di un intervento in apertura del suo spazio a Taobuk, dove ha poi dialogato con il docente dell’Università Kore, Salvatore Ferlita, ha riflettuto su quello che dovrebbe essere un docente. Partendo, infatti, dalla sua esperienza personale, ha esposto quello che secondo lui sarebbe meglio per i ragazzi di tutto il mondo e di tutte le età.
Partendo da un appello a nonni, nonne e genitori, Pennac li ha invitata a “raccontate tante storie ai vostri figli, nipoti, pronipoti: io sono stato un bambino a cui nessuno raccontava le favole e ho sofferto. Sono stato un pessimo studente, provocando l’infelicità dei miei genitori che non avrebbero scommesso un franco sul mio futuro, e dei miei insegnanti che non riuscivano a insegnarmi nulla“, ha raccontato Pennac. “Andavo lento ma a vent’anni mi sono svegliato nasco dalla vergogna del fallimento. Da docente mi sono imposto di non far mai paura ai miei ragazzi ma piuttosto di trovare un modo per non inibirli. A scuola odiavo Balzac e Stendhal, perché inseriti nei programmi scolastici ma amavo gli scrittori russi“.
Pennac sui migranti: “Chissà se ci scuseranno”
Nella sua riflessione, però, lo scrittore Daniel Pennac ha voluto anche dedicare un pensiero all’attualità tanto europea, quanto mondiale. Si è, infatti, scagliato contro quella che ha definito “la terribile politica europea sull’immigrazione” che a suo dire “non è solo mancanza di generosità umana ma rappresenta la fine della legge. Il diritto marittimo, che impone di salvare chiunque in mare, non esiste più. Sapete qual è la parola più pronunciata da un migrante? ‘Pardon’, scusa. Scusa se domando cibo, scusa se cerco i documenti. Mi domando”, conclude Pennac, “se ci potranno mai perdonare quelle donne, quegli uomini, quei bambini annegati in Grecia: cercavano il paradiso, hanno trovato l’inferno della nostra ignominia”.