Le elezioni in Libia, i soldi del Fondo monetario internazionale per salvare la Tunisia, la gestione dei flussi dei migranti. C’erano anche questi temi sul tavolo dell’incontro bilaterale a Parigi tra il presidente francese Macron e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, impegnati a dare il loro contributo alla stabilizzazione di tutto il Nord Africa. Italia e Francia, d’altra parte, possono giocare un ruolo importante da questo punto di vista, prima di tutto con la Libia, oggi divisa in due tronconi, la Tripolitania da una parte con Dbeibah e la Cirenaica dall’altra con Haftar. La riunificazione passa necessariamente da nuove elezioni che la comunità internazionale, e in particolare i due Paesi che stanno dall’altra parte del Mediterraneo, può aiutare a celebrare, puntando così alla creazione di un solo Governo.
Un programma, come spiega Fausto Biloslavo, corrispondente di guerra de Il Giornale, niente affatto facile da realizzare. I nodi da sciogliere sono ad esempio le regole per stabilire l’eleggibilità dei candidati, anche di quelli che hanno avuto a che vedere con il regime di Gheddafi, la necessità di un Governo ad interim che gestisca la transizione. E poi, in futuro, la forma di Stato che la Libia vorrà darsi, magari federale e con ampie autonomie per le due parti in causa.
Come possono influire Italia e Francia sulle tanto attese elezioni che dovrebbero dare un Governo unico alla Libia?
Le elezioni sono una chimera da parecchio tempo in Libia. Ricordiamoci che il premier Draghi, due anni fa, annunciò che ci sarebbero state votazioni che poi non si sono tenute. Bisogna arrivare a elezioni che abbiano un minino di serietà: se si faranno domani non serviranno, perché sarebbero travolte da brogli e minacce da parte delle milizie.
Le parti sembrava fossero arrivate a una legge elettorale condivisa, ma poi si è tornati a discuterla. C’è una reale possibilità che Haftar e Dbeibah si avvicinino?
È un Paese con due Governi, uno dei quali riconosciuto dalla comunità internazionale, due Parlamenti, mille milizie, un esercito in Cirenaica, un altro in Tripolitania: è già tanto che non tornino a spararsi, anche se ogni tanto ci sono scontri e violenze. Tutto ciò deriva dal più grande errore strategico dopo la Seconda guerra mondiale che è stato quello di bombardare Gheddafi nel 2011. La paghiamo ancora adesso. Bene, quindi, il fatto che ci sia una sorta di tregua, di situazione più pacificata rispetto a qualche tempo fa, ma c’è ancora parecchia strada da fare per arrivare a elezioni accettabili.
Ma Italia e Francia cosa possono fare da questo punto di vista?
Possono giocare un ruolo importante, soprattutto con gli attori principali, Haftar, Bashagha e Dbeibah, per far digerire le elezioni. Ci vorrebbero anche degli osservatori internazionali che garantiscano un minimo di genuinità e correttezza. Tra l’altro i libici non sono tanti, dovrebbe essere un’operazione abbastanza semplice.
Prima di tenere le elezioni dovrebbero costituire anche un Governo ad interim. E anche questo non sarà facile. Visto che il Paese è di fatto diviso in due bisognerà trovare una forma di Stato che ne tenga conto?
L’assurdo della Libia è che di fatto è spaccata in due. Dopo di che se si va dire a entrambe le parti se vogliono separarsi la risposta è no, perché tutt’e due sono per l’unità del Paese. È chiaro che ci vorrà assolutamente una forma federale spinta, concedendo grande autonomia, con due centri di potere: Bengasi e Tripoli. Poi ci sono alcuni punti di domanda che restano. Quando avevano cominciato a stilare la lista dei candidati per le elezioni era comparso anche il figlio di Gheddafi. Cosa si fa con lui? Non penso che non si candiderà.
È uno dei nodi da sciogliere delle legge elettorale?
Certo. Il figlio di Gheddafi è inquisito dal Tribunale dell’Aja, che però mi sembra abbastanza politico, si è attivato quando abbiamo bombardato la Libia. Se gli impedissero di presentarsi, non so come potrebbero reagire gli ex gheddafiani. Lo stesso Dbeibah è stato un giovane imprenditore molto vicino proprio al figlio di Gheddafi. Ripeto, ci vogliono elezioni serie, garantite da osservatori, anzi quasi da una forza internazionale, e soprattutto devono essere inclusive, altrimenti torniamo punto e a capo.
Le votazioni, insomma, non sono così vicine?
Tutto può essere, perché i libici ci hanno abituato a cose stupefacenti. Se vogliono trattare trattano, il problema è se lo vogliono fare. In gioco ci sono anche gli interessi personali dei leader. È chiaro che la pressione congiunta italo-francese può fare la differenza.
Uno dei temi su cui si misura la Libia è sicuramente quello del flusso dei migranti. Haftar e Dbeibah si stanno dando da fare su questo dossier?
Dopo la visita di entrambi a Roma c’è un attivismo che sta aumentando sia in Tripolitania, sia in Cirenaica contro i trafficanti di uomini e con mega-retate di migranti che, per come sono condotte, giustamente vengono anche criticate. Ci sono comunque operazioni contro chi gestisce o favorisce le partenze dei barconi. Di fatto non si riesce ancora a incidere del tutto sul fenomeno perché i trafficanti hanno potere e soldi, che guadagnano proprio grazie al traffico di esseri umani. Però, in Cirenaica, ad esempio, Dbeibah ha usato droni turchi per colpire milizie rivali, ma anche porti e porticcioli dove ci sono le loro barche, le loro motovedette. Sono le stesse milizie che garantiscono ai trafficanti di agire. Credo che i nostri servizi stiano lavorando su questo. E sarebbe bene che ci lavorassero sia la Francia, sia l’Italia: uno dei temi di questo incontro del disgelo tra Meloni e Macron è stato proprio quello della politica migratoria.
Un altro dei punti su cui Macron e la Meloni sembrano d’accordo è il sostegno alla Tunisia perché riceva dal Fmi i soldi per evitare la bancarotta. Anche in questo caso possono giocare un ruolo importante?
Se Francia e Italia si mettono insieme forse fanno di più della lenta, pachidermica e forse troppo politicamente corretta Europa, che non ha ancora firmato il promesso memorandum con il presidente tunisino, anche se poi finanziamo con 200 milioni di euro un centinaio di progetti a Cuba. È chiaro che deve sbloccarsi questo benedetto prestito del Fmi. E non si può pretendere di andare dall’unico Paese uscito con le ossa meno rotte dalla primavera araba, che ha evitato la valanga di sangue della Siria, della Libia e in parte dell’Egitto, e fargli la lezioncina della democrazia.
Quello della democrazia è un processo lungo. Non si improvvisa.
Un processo lungo che ogni nazione e ogni popolo deve digerire. Spero che il pragmatismo italo francese riesca a scardinare queste follie tecnocratiche e politiche del Fondo monetario, che da una parte ti dà i soldi e dall’altra ti “strozza” con riforme capestro. Altrimenti non si va da nessuna parte.
Anzi, si corre il rischio di consegnare all’influenza di qualche altro Paese anche la Tunisia?
Sicuro. Se Saied non avrà i soldi dall’Occidente guarderà da un’altra parte, ai russi, ai cinesi: è normale che sia così. Deve portare la Tunisia fuori dal caos economico e sociale, per farlo ha bisogno di fondi per tenere in piedi il Paese.
Libia e Tunisia sono le due nazioni più in difficoltà nel Nord Africa, sempre al centro dei flussi dei migranti. La loro vicina di casa Algeria che ruolo gioca in questo contesto?
È vero che i migranti arrivano dalla Libia e dalla Tunisia, ma il grosso proviene dall’area sub sahariana. E passa dal confine “poroso” dell’Algeria. Anche questo Paese dovrebbe contribuire a fermare i flussi di migranti che arrivano dal deserto.
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