“In questi anni, purtroppo, non siamo cresciuti in linea con le nostre aspettative per garantire un business sostenibile nel lungo periodo. Ecco perché oggi siamo tristi di annunciare che abbiamo preso la difficile decisione di interrompere le nostre operazioni di consegna di cibo in Italia tramite l’app Uber Eats”. Con queste parole Uber comunica in una nota ufficiale la decisione di dire addio al food delivery nel nostro Paese. Un decisone che arriva dopo ben 7 anni di attività.
“Il nostro viaggio con Uber Eats è iniziato a Milano nel 2016 – ricorda l’azienda -. Da allora abbiamo raggiunto oltre 60 città in tutte le regioni italiane, lavorando con migliaia di ristoranti partner che hanno potuto beneficiare dei nostri servizi per ampliare la loro clientela e le loro opportunità di business, specie in periodi critici come quello dovuto al Covid. In questi sette anni migliaia di corrieri e delivery partner hanno avuto la possibilità di guadagnare attraverso la nostra app in modo facile e immediato”.
Ora però l’azienda ha scelto di fermarsi, rimodulando le proprie strategie. “Il nostro obiettivo principale – si legge sempre nella nota ufficiale diramata dalla stessa Uber – è quello di fare il possibile per i nostri dipendenti, in conformità con le leggi vigenti, assicurando al contempo una transizione senza problemi per tutti i nostri ristoranti e i corrieri che utilizzano la nostra piattaforma”. E non solo. “Questa decisione – continua l’azienda . ci consentirà di concentrarci ancora di più sui nostri servizi di mobilità, dove stiamo registrando una crescita importante”.
La notizia ha però subito suscitato la reazione sindacale. “Si tratta di una decisione grave – afferma la Segretaria confederale della Cgil, Francesca Re David – motivata dal fatto che l’azienda non è riuscita a costruire sufficienti quote di mercato. Chi lavorava per Uber si ritroverà in grave difficoltà, con la perdita dell’occupazione e del reddito. I lavoratori inquadrati come collaboratori occasionali e a partita Iva, che sono la forza lavoro utilizzata per la consegna del cibo, pur perdendo l’attività lavorativa non avranno diritto agli ammortizzatori sociali, né ad alcun sostegno pubblico per un’eventuale ricollocazione. Oltre alle procedure riguardanti i dipendenti diretti, che se non ricollocati in altre attività avranno accesso quanto meno al sussidio di disoccupazione, occorre quindi capire se e in che modo Uber Eats intende ridurre l’impatto di questa decisione improvvisa per l’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori. Non è accettabile lasciarli senza alcun reddito a partire dal prossimo mese”.
E da qui l’annuncio: “Chiameremo in causa – afferma Re David – anche il ministero del Lavoro per chiedere di intervenire su Uber e per agire sulle norme vigenti in materia di lavoro tramite piattaforma”.
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