Nove euro, tanto costa un sogno. Non quello di chi dovrebbe prenderli per lavorare come facchino o addetto alle pulizie. Per loro al massimo quei nove euro all’ora li avvicinerebbero alle decenza. Il sogno è quello di Elly, finalmente propositiva e prospettica nel suo sogno di avvicinare e ingoiare l’elettorato di Giuseppi. I due giocano al gatto con il topo. Entrambi convinti di essere il Tom della situazione che alla fine prenderà il topastro sfuggente. Ma come si sa, di gatto ce ne sta uno ed a volte, come per Jerry, è meglio essere un furbo roditore sfuggente che un arrogante e un po’ stupido gatto.
Di certo la vicenda del salario minimo è la prima prova di reale convergenza in Parlamento di un “campo largo” che non ha mai superato le dimensioni di un’aiuola elettorale. Ripartire dalla dinamica salariale e presentare una proposta unitaria che mette d’accordo Pd e M5s è evento politicamente significativo. Anche se solo ai fini propagandistici, tenuto conto di alcune questioni.
La prima è che in un periodo di inflazione alta aumentare i salari non è una buona idea. Alimenta la rincorsa dei prezzi e riattiva meccanismi che alla lunga penalizzano i salariati. Il che significa dare soldi in più ma avere minore potere d’acquisto. Inoltre la maggior parte dei salariati sotto i 9 euro sono impiegati in attività labour intensive appaltate dallo Stato o dai privati sulla base di contratti pluriennali. Incrementare il salario per legge vuol dire condannare i datori ad insolvenza certa, perché se hai un contratto di tre anni in cui il committente ti paga 8 euro l’ora e devi pagarne 9 ai dipendenti non ti resta che gettare la spugna. Insomma, la soluzione non appare così semplice né immediata. Meglio sarebbe aggiungere, sicuramente, un percorso di accompagnamento di quei lavoratori e delle loro imprese ad una crescita di competenze e di produttività per essere efficaci.
Ma al netto dei limiti della proposta, essa è comunque un primo tentativo di occuparsi di qualche milione di lavoratori che arrivano sotto la soglia di povertà anche se spendono gran parte della giornata lavorando. Che poi costoro diventino elettori delle forze che vorrebbero rappresentarli è tutto da vedere, così come è tutta da dimostrare l’efficacia di questa proposta come collante tra il Pd di Schlein ed i pentastellati di Conte.
Le due fazioni sono consapevoli di occupare spazi contigui ed entrambe pensano di averne un vantaggio a danno dell’altra. È un po’ come affacciarsi in casa d’altri e vedere che mobili ci sono e casomai provare a portarne via qualcuno. Su questo tentativo si gioca la prima parte di una strategia letta e denunciata da più parti che vede i due contendenti avvolti in una spirale di odio vero ed amore per interesse che porta i loro esponenti a darsele di santa ragione anche quando sarebbero d’accordo.
Elly Schlein è fedele al mandato ricevuto: riempire il suo lato sinistro e restare immobile verso il centro in attesa che si esaurisca la fiamma di destra che per ora illumina la Meloni e gran parte dell’Europa. Giuseppe Conte, invece, nel suo finto attivismo e nella ricerca di un senso alla sua presenza politica, continua a tenere posizioni populiste e pauperiste, ricordando ad ogni occasione i magnifici e magici poteri del rettangolo di plastica relegato nei bei tempi passati a milioni di italiani per fare la spesa. Il mitico reddito di cittadinanza, che è il vero asset del consenso grillino ora che tutte le altre iniziative appaiono lontane almeno come i dinosauri.
Il salario minimo è così una mossa tattica, consente ad entrambi di avere un argomento di pressione sul governo e sui centristi, ma consente anche di continuare a darsele sul resto, dai termovalorizzatori alla guerra in Ucraina. Insomma un buon modo per continuare ad odiarsi facendo finta di andare d’accordo.
Perciò i nove euro rischiano di non avere una reale efficacia nel risolvere il tema della mancata crescita dei salari italiani, dovuta soprattuto alla scarsa produttività ed alla pessima formazione dei lavoratori, fornendo un facile slogan per aprire il solito cantiere dei ricchi contro i poveri, dove i ricchi sono però quelli che prendono dai dieci euro l’ora in su. Ovvero il 90% circa della forza lavoro italiana, ovvero la stragrande maggioranza dell’elettorato italiano.
Se questa è l’identità di entrambe le forze politiche, se questa è la loro volontà di agire sui temi economici il rischio è quello di non dialogare con tante parte dell’elettorato che vive lo scivolamento verso condizioni di vita peggiori anche guadagnando 20 euro l’ora. A causa dell’inflazione, della pressione fiscale, del rialzo dei tassi dei mutui. Certo aumentare il guadagno di chi poco riesce ad avere è un nobile intento sindacale, ma quando diventa una scusa per stare assieme, perdendo di vista il disegno complessivo della società che la sinistra ha il dovere di proporre ed avere, può diventare un boomerang per entrambi i neoalleati, erodendo il consenso complessivo e costringendo Schlein e Conte a nuotare in una pozzanghera invece che nel mare elettorale.
E tutto per mettere un numero da usare come vessillo invece che fare politica occupandosi dei problemi del sistema Paese nel suo complesso, che potrebbe, se ben guidato, offrire un’uscita dalla povertà a chi lavora anche senza i 9 euro. Ad esempio facendo chiarezza sui contratti collettivi di lavoro e sull’effettiva capacità dei sindacati di essere veri rappresentanti dei lavoratori.
Ma è così in questi tempi. Meglio i 9 euro facili da spacciare che un vita migliore, ma più complicata, da spiegare. In fondo sono solo 9 euro. Il prezzo sì una pizza a da dividere tra Elly e Giuseppi, a patto di trovare un tavolo in cui accomodarsi da buoni amici.
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