PARIGI – Nahel è stato sepolto sabato pomeriggio. Vista l’esplosione di violenza che la sua morte “imperdonabile e inspiegabile”, secondo le parole del presidente Emmanuel Macron, ha scatenato all’inizio della settimana, si potrebbe essere tentati di dire che i suoi funerali si sono svolti in un clima di generale indifferenza. Perché ciò che sta accadendo in Francia non ha nulla a che vedere con la tragedia che ha fatto da scintilla a una situazione esplosiva che covava da tempo.
Da quasi una settimana assistiamo alla narrazione di due storie che vengono raccontate contemporaneamente ma che non parlano della stessa cosa. Da una parte ci sono i politici, per lo più con i loro commenti interessati, e dall’altra ci sono i giovani, che non sono stati raggiunti dal discorso politico e che si lasciano trasportare dal loro risentimento contro il Paese e dall’odio per la polizia, senza alcuna richiesta concreta o pensiero politico strutturato.
Macron, il candidato delle periferie nel 2017 e dell’ordine pubblico nel 2022, si trova in una situazione complicata e imprigionato in un discorso ambivalente: condannare con fermezza, come ha fatto, il gesto omicida del poliziotto, senza lasciarsi sopraffare dalla destra, e nello stesso tempo non interrompere il dialogo con la polizia, che già lo rimprovera per le sue parole sulla “violenza della polizia” della quale ha bisogno per ristabilire l’ordine. Il Capo dello Stato deve ascoltare la rabbia dei giovani e allo stesso tempo sostenere la polizia che, in questo caso, rappresenta sia il problema che la soluzione. Un’equazione quasi insolubile.
Per quanto riguarda l’opposizione, lo stato d’animo ha già assimilato l’evento e le dichiarazioni rilasciate da ogni parte sembrano rispondere ad esigenze di campagna elettorale. La grande maggioranza della destra ha condannato la debolezza del Governo e ha cercato di sostenere la polizia, rifiutandosi di stigmatizzare un intero apparato per il comportamento di un singolo individuo. Insieme a una parte della sinistra, la maggioranza condanna la strumentalizzazione della morte dell’adolescente da parte dell’estrema sinistra, in particolare della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.
Le sue prese di posizione radicali (ricordiamo il suo “la polizia uccide” nel 2022) e le sue frasi “non chiedo la calma, chiedo giustizia” hanno suscitato l’ira del Governo e forti reazioni, in particolare da parte del Rassemblement National e dei Républicains, che hanno accusato Mélenchon di avere una pesante responsabilità nelle violenze per aver invocato una sommossa. Anche se nel frattempo ha fatto marcia indietro, i giornalisti politici hanno ricordato il desiderio dichiarato del presidente di FI di una sesta repubblica, accusandolo allo stesso tempo di seminare il caos all’interno della vita politica e delle istituzioni per abbattere l’attuale sistema, il fine giustificando i mezzi. Fomentando la rabbia nelle periferie, facendosi paladino di tutti i musulmani oppressi di Francia, di questo nuovo proletariato, Jean-Luc Mélenchon sta giocando un gioco pericoloso che anche Eric Zemmour sta facendo dall’altra parte dell’arco politico quando si riferisce alle periferie come a “enclavi straniere che ci mostrano ancora una volta di cosa sono capaci”.
In modo meno virulento, Marine Le Pen sta facendo quello che le riesce meglio: aspettare e raccogliere i frutti seminati da altri, in particolare sui temi della violenza, delle periferie e dell’immigrazione, che sono stati il suo cavallo di battaglia per anni e sui quali non ha nemmeno più bisogno di esprimersi.
Ma lontano dalle giostre verbale e del gioco elettorale che la morte di Nahel ha esacerbato, c’è un’altra storia, scollegata dal dramma e dal discorso politico in generale. È la storia della violenza latente vissuta dai giovani di queste periferie che ospitano gli immigrati arrivati recentemente e le popolazioni più povere. Il gigantesco teatro di un traffico di droga in costante aumento, serbatoio di risentimento nei confronti del Paese da cui queste centinaia di migliaia di persone si sentono abbandonate e tradite, catalizzatore di odio verso la polizia.
Di fronte a questi giovani, nutriti di videogiochi iper-violenti ed eccitati dal consumo eccessivo offerto dai social network, ci sono forze di polizia già duramente provate dalla crisi dei gilet gialli e dalla riforma delle pensioni, sempre più malviste dall’opinione pubblica, spesso anche incomprese nelle loro difficili condizioni di lavoro e poco riconosciute e che da anni hanno sviluppato comportamenti inadeguati: controlli ripetuti a volte effettuati in modo umiliante, discriminazione, aggressioni, minacce. Si è creato un clima velenoso, con un’ostilità reciproca tra questi giovani e le forze dell’ordine.
È l’espressione di questa rabbia latente che oggi prende la forma di una delinquenza opportunistica, di una violenza cieca che non esprime alcuna pretesa se non quella di essere al centro dell’attenzione in un ecosistema mediatico favorevole, di guadagnare like e di fare meglio in termini di danni e saccheggi rispetto alla città vicina. Di fronte alla violenza urbana praticata da questi giovani, addestrati a erigere barricate, a incendiare auto, ad attaccare stazioni di polizia e a usare armi come mortai e, secondo alcuni, persino armi da guerra, la polizia, il cui compito è mantenere l’ordine, si trova di fronte a una situazione fuori dall’ordinario: l’odio di una popolazione che li vede come rivali.
Se per il momento la priorità resta il ripristino dell’ordine pubblico nel Paese, si stanno anche discutendo diverse strade per far uscire le periferie dal circolo vizioso della violenza e della discriminazione e per ristabilire il dialogo tra polizia e cittadini, in un momento in cui un sondaggio del marzo 2023 ha rivelato che il 42% dei francesi non ha più fiducia nella polizia.
Bisognerà trovare delle soluzioni, in particolare per quanto riguarda l’educazione e le politiche familiari, mentre la responsabilità dei genitori viene in queste ore invocata dal Governo. Sono già stati investiti molti soldi nelle periferie e sarebbe disonesto dire che non è stato fatto nulla. Sicuramente bisognerà trovare delle risposte umane e non solo finanziarie.
Anche se quello economico non è l’ultimo dei problemi. Molte voci hanno già cominciato a dire che il contribuente francese non dovrebbe pagare il conto delle riparazioni degli edifici pubblici distrutti, la maggior parte dei quali sono stati costruiti o ristrutturati di recente. Si tratta di un problema in più, che indubbiamente avvelenerà il programma di lavoro dell’esecutivo e che potrebbe influenzare le prossime elezioni europee.
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