Alessandro D’Avenia, giornalista del Corriere della Sera, racconta stamane della vita all’ultimo banco di un’aula di scuola, intitolando la sua consueta rubrica proprio ‘Ultimo’. “La scuola è finita. L’ultimo banco è vuoto – esordisce – e noi, orfani di questa postazione che desta sospetti ma che permette di guardare il mondo alla distanza giusta per metterlo a fuoco e di fare altro quando la noia ci opprime, adesso vogliamo portarci a casa questo metro quadro di legno scadente, perché è da qui che si vede chi mente e chi dice la verità, chi è vivo e chi è morto”. D’Avenia si sofferma quindi su coloro che solitamente siedono in ultima fila a scuola, e che sono visti un po’ con il sospetto dai docenti.
“È venuto quindi il momento di prendere il banco e farne una condizione del cuore e della mente, per poi rimetterlo al suo posto ai primi di settembre”, aggiunge. “L’ultimo banco in fondo è un ottimo rifugio per chi si sente nudo di fronte alla vita- ha proseguito – non fugge ma partecipa, partecipa ma non è sottomesso, non è sottomesso ma non si sente superiore, apprende e comprende. L’ultimo banco è un fragile baluardo per rimanere liberi, non un sotterfugio ma un rifugio dove tenersi buono il dolore e trasformarlo in pensiero, e mai barattarlo con la menzogna pur di non sentirne il morso. Non è il banco degli amici del potere, né di quelli del complotto: non si ha un’opinione su tutto né tanto meno ragione su tutti”.
D’AVENIA: “SIN DALLE ELEMENTARI HO SEMPRE SCELTO L’ULTIMO BANCO”
Anche D’Avenia svela di essersi sempre seduto in fondo: “Sin dai tempi delle elementari, ho sempre scelto l’ultimo banco come posizione da cui guardare cose e persone, per rimanere libero di parlare quasi indisturbato e di cercare la verità”. D’Avenia racconta di visioni di tramonti diversi, ma anche di albe sorprendenti, e ancora: “All’ultimo banco si dipingono tutti i quadri del mondo perché l’arte è il modo che abbiamo di dar gloria alle cose senza consumarle, come fece Vermeer”.
Ma all’ultimo banco si leggono anche i libri di nascosto e si fanno anche grandi amicizie: “E’ interessante ascoltare la loro storia e scoprire che è un capitolo non ancora letto della propria. All’ultimo banco ti nascondi quando ti prende un dolore insopportabile che non vuoi far vedere. All’ultimo banco si può anche riposare appoggiando bene il volto di tre quarti su una mano e chiudendo gli occhi senza che si veda. All’ultimo banco si può spaziare con lo sguardo fuori dalla finestra perché il cielo c’è sempre, checché ne dica chi ci informa continuamente sul mondo, e soprattutto perché la vita è molto più grande di quel che «si dice»”. L’ultimo banco può essere anche occasione per trovare oggetti dimenticati, magari un foglio accartocciato, e nel contempo ci sono sempre “musica e amici, e si scrivono bellissime lettere d’amore. All’ultimo banco non si è mai soli, ma si coltiva la solitudine. Dall’ultimo banco si scelgono i maestri, sono quelli che hanno nelle parole la vita e nella vita le parole”.
D’AVENIA E L’ULTIMO BANCO: “I PROPRI COMPAGNI DI VIAGGIO…”
E poi dall’ultimo banco c’è un punto di vista unico che ti permette di vedere “Tutti i propri compagni di viaggio (banchi sono anche quelli dei rematori sulle navi) e sperare di arrivare tutti insieme in porto: le loro schiene piegate, anche se a volte non li capisci o sopporti, portano il peso della vita come te”.
Poi lo scrittore conclude così, salutando la rubrica fino a settembre: “Io questo banco devo portarmelo via per dedicarmi a preparare un matrimonio estivo e un libro che uscirà al termine dell’estate. Se non lo vedete più qui in fondo alla pagina del lunedì non vi preoccupate, lo riporto a settembre. Spero che anche voi ormai ne abbiate fatto un modo di guardare il mondo, una condizione permanente di curiosità e di grazia. Buon lavoro a tutti e buone vacanze per quando arriveranno. E grazie per il tempo che avete dedicato alle parole nate su questo banco che ha un unico scopo: da qui non si finisce mai di stupirsi e innamorarsi della vita”.