Le notizie sulla terribile guerra in Ucraina non sono più sulle prime pagine dei quotidiani. Si trovano relegate tra tante informazioni di minore importanza all’interno dei giornali. Sembra quasi che la gente non voglia guardare più la realtà, chiudendosi nella bolla di un preoccupato distacco o di un impotente silenzio. Eppure siamo in presenza di una guerra già molto cruenta e di una situazione critica ben più grave ed estesa rispetto a quella di Cuba del 1962.
Risulta, peraltro, difficile capire che cosa si agita nella leadership moscovita e nello stato profondo russo, dopo i fatti recenti. La guerra scatenata contro l’Ucraina con un attacco da diverse direttrici ha fatto registrare l’invasione, infatti, non solo da parte dell’imponente armata russa, ma anche di diversi eserciti privati filorussi finanziati da oligarchi, bellicisti vari o personaggi desiderosi di accrescere il loro potere. Akhmat, Compagnia Gazprom, Legione imperiale russa, Lupi dello zar, Patriot, Sewa Service, Rsb, gruppi armati tutti accomunati dal mito del mužik, l’uomo vero, duro e violento. Tra le tante milizie di avventurieri, prima ancora della “marcia armata di protesta su Mosca” o del tentativo di colpo di Stato, era già conosciuto il nome della Brigata Wagner, famoso per il motto “senza pietà, vergogna e legge” (fonte New York Times). Tale gruppo d’attacco, infatti, era stato protagonista dell’annessione della Crimea e di azioni militari in diversi Stati africani e in Siria, a sostegno degli interessi russi.
Dopo essere stata impiegata a Bakhmut contro i valorosi patrioti ucraini difensori della libertà, a seguito degli accordi recenti con il Cremlino, la Brigata verrà dispiegata in Bielorussia. Un esercito, preparato al combattimento con veterani rodati da diverse campagne militari e costituito da ex operatori delle forze speciali russe capaci di azioni di guerra non ortodossa e con alcuni comandanti provenienti dal Gru, si troverà in prossimità dell’Ucraina, vicino ai Paesi baltici e alla Polonia.
Nella Bielorussia saranno presto dislocati anche ordigni nucleari tattici, con l’obiettivo di rappresentare una minaccia diretta e aperta sul terreno. Si tratta di una contemporaneità sospetta e davvero inquietante, che pone Minsk al centro di un nuovo possibile focolaio di crisi, ancor più grave.
Insomma, al di là di tante discussioni astratte, i fatti sono molto chiari e preoccupanti. Resta, peraltro, molto alto il rischio rappresentato dalla centrale nucleare di Zaporižžja. E a tal proposito, bisogna ricordare che la ragionevole e intelligente proposta di Rafael Grossi, direttore dell’Aiea, di avere una zona permanente di cessate il fuoco in prossimità della centrale non è stata discussa e neanche sufficientemente rilanciata dagli organi di stampa, manifestando una sconsiderata sottovalutazione del rischio. Le opinioni pubbliche, a tal proposito, sono state praticamente bypassate e trascurate. Peraltro, ultimamente il generale Milley, di solito capace di giudizi tecnici misurati ed equilibrati, ha parlato della possibilità di fornire bombe a grappolo alle forze ucraine. Si tratta di armamenti offensivi devastanti e ben diversi dalle difese antiaeree fornite dall’Italia a legittima difesa e protezione della popolazione civile dagli attacchi missilistici e dei droni iraniani.
Siamo in presenza, insomma, di un quadro complessivo sconsolante e pericoloso in cui viene poco considerata la grave situazione umanitaria della popolazione, colpita dagli attacchi e dalla devastazione di ospedali. In effetti, chi ritiene che la guerra sia una strutturata scienza della distruzione, finalizzata a ottenere obiettivi geopolitici o accrescimento di potere, non si occupa dell’uomo concreto e sbaglia di grosso nella valutazione. “La guerra sarà breve”, “Vinceremo”, eccetera: frasi fatte che si scontrano con la realtà del fattore umano e la sua libertà drammatica.
Le guerre, se e quando possibile, vanno prevenute per favorire, in modo non unilaterale, la stabilità internazionale, tramite mediazioni e realismo – ancorati al diritto internazionale –, perché hanno qualcosa di incontrollabile che spesso sfugge alla previsione calcolata. È questo il rischio. L’odio e la sconsideratezza fanno il resto. Basti pensare, peraltro, alla differenza di tono che abbiamo sentito in questo periodo nei commenti sulla guerra: cauta prudenza dei militari intervistati e ardita speculazione astratta dei politici o degli strateghi. I primi conoscono le possibilità devastanti della guerra attuale: aerospaziale, informatica, terroristica, mediatica, nucleare, batteriologica, ecc. I secondi di solito non vanno in guerra, ma mandano altri a morire.
E d’altro canto si arriva all’allargamento della guerra o alla catastrofe generale non per volontà dichiarata, ma per scivolamento inerziale, passo dopo passo, in modo quasi inconsapevole. Il pifferaio di Hamelin della celebre favola porta tutti ad annegare con il suono di una musica che non offende le orecchie, ma ammalia.
Tuttavia, va anche detto che mentre il potere ideologico non ha un sapere sulla guerra, la Chiesa ha un sapere sull’uomo e sul suo dramma. L’uomo da solo non ce la fa, ha bisogno di salvezza concreta. E per questo, la recente missione di mons. Zuppi, in un quadro così grave che rischia sempre più di saldarsi in modo irreparabile con la crisi di Taiwan, rivela un’attenzione al bene autentico e definitivo di ogni uomo. L’immagine di mons. Zuppi a Mosca, inginocchiato davanti all’icona della Madonna della Tenerezza, ha fatto il giro del mondo. Non è stato un semplice atto pio e devoto, ma un lasciar guardare la propria umanità e quella di tutti da una presenza viva, vera, attiva.
La Chiesa, che ostinatamente cerca di creare e trovare spiragli di umanità e riduzione del rischio, non è una superpotenza mondana e non ha divisioni, ma possiede una saggezza ricevuta e trasmessa nei secoli. Essa si traduce in una domanda rivolta a tutti. “Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del Figlio di Dio, Gesù Cristo?”. Tale domanda radicale posta da Dostoevskij non è vana e ci riguarda tutti e massimamente chi può fermare la guerra o quantomeno ridurre i rischi provocati dall’ideologia espansionistica e imperialistica. Il grande scrittore russo, Dostoevskij, peraltro, non è “alle origini dell’ideologia putiniana e del suprematismo dello spirito russo” come ha titolato, recentemente, senza cognizione di causa un importante quotidiano nazionale, ignorando del tutto i fondamentali studi di Eltchaninoff, Niqueux e Werth sull’origine del neoimperialismo.
Il genio religioso russo, infatti, ha messo al centro della sua opera la sofferenza dell’ innocente come giudizio sull’azione. E un altro grande scrittore, Tolstoj, dopo avere visto in prima persona la crudeltà della guerra, ha sostenuto con la sua testimonianza antidispotica l’obiezione di coscienza. I due autori con la loro intelligenza della vita sono una chiamata al cambiamento del cuore di tutti e, soprattutto, di chi vuole un potere fondato sul nulla e sulla morte.
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