Il quadro è ancora quello delle elezioni. Migliorato, però, per quanto riguarda il centrodestra. I dati di Tecnè sul gradimento dei partiti confermano una tendenza che si è manifestata da settembre a oggi, con Fratelli d’Italia consolidato primo partito al 29,6% e Forza Italia ancora sotto l’effetto-Berlusconi, che le ha fatto guadagnare oltre 3 punti percentuale di consensi. FI ha riconquistato elettori che si erano astenuti, ottenendo anche i favori di una parte dei centristi, disorientati dalla rottura tra Calenda e Renzi. Calma piatta, invece, per Pd e 5 Stelle, fermi ai risultati delle politiche. L’effetto Schlein non c’è mai stato: dopo le elezioni i sondaggi hanno rilevato un calo del Partito democratico, dovuto proprio alla mancanza di un’indicazione chiara sul nome del segretario. Una volta scelto il leader il partito è tornato sui livelli delle consultazioni dell’anno scorso. Anche i pentastellati restano intorno al 15%, segno che l’alternativa all’attuale Governo, sull’asse dem-grillini, non scalda i cuori e non viene giudicata credibile.
Il quadro politico che ne esce, spiega Carlo Buttaroni, sondaggista e presidente di Tecnè, è quello ancora di un solido sostegno all’esecutivo Meloni, che per il momento non viene scalfito dalla preoccupazione per inflazione e costo della vita, che colpisce soprattutto i ceti più bassi. Sulla guerra, invece, gli italiani stanno cambiando un po’ il loro parere: tre su quattro hanno mostrato preoccupazione in occasione del presunto golpe di Prigozhin in Russia, ma aumenta il numero di coloro che sono d’accordo ad aiutare l’Ucraina con invio di armi.
Effetto Schlein, effetto Berlusconi, ma anche effetto Meloni con il suo Governo. Negli ultimi tempi come sta cambiando il consenso politico?
Continuiamo a registrare Forza Italia molto alta, all’11,2%, seppur in lieve calo rispetto alla settimana in cui è morto Berlusconi. Era partita dall’8%: l’effetto Berlusconi ha portato oltre 3 punti in più. Un elemento che sembra costante e che riguarda quell’area popolare ora rappresentata da Antonio Tajani, e che in Italia, una volta finita la Dc, è rimasta molto ampia. Tant’è che, secondo una nostra ricerca, anche molti elettori di FdI si riconoscono, a livello europeo, nel Ppe. La crescita di FI è stata determinata dal recupero più nell’area di centro-centrosinistra che nell’area di centrodestra. E moltissimo dall’area dell’astensione.
La parte di elettorato FdI che si sente del Ppe potrebbe tornare a FI?
Sì, c’è un’area molto ampia che fa riferimento ai moderati, ai popolari europei, quello che è stata la Democrazia cristiana. In questi anni molto è cambiato, ma non tutto. Secondo il 45% degli intervistati Forza Italia continuerà ad essere il partito di riferimento dei moderati di centrodestra. Percentuale che si alza al 66% se ci si rivolge ai soli elettori di centrodestra.
Fratelli d’Italia rimane saldamente il primo partito?
È ancora ampiamente il primo partito, con il 29,6%, resta intorno al 30% sui cui si era stabilizzato dopo il 26% delle elezioni. Il Governo (47,8% di fiducia) e Giorgia Meloni (53,8%) continuano ad andare bene, a ottenere gli apprezzamenti della gente. La Lega è sull’8,5%, sostanzialmente come alle politiche.
Il centrodestra, quindi, aumenta i consensi?
È così. Hanno guadagnato Fratelli d’Italia e in questa fase Forza Italia. La coalizione è al 50%.
Il Pd, invece, come è messo? L’arrivo di Elly Schlein come segretaria ha smosso qualcosa?
Il Pd è al 20,1%, al livello delle politiche. L’effetto Schlein è stato un effetto ottico: il Pd è calato moltissimo, perdendo quasi 4 punti, quando è stato senza leader. Nel momento in cui lo ha riavuto li ha recuperati. Non ha una crescita di consensi vera e propria. Oltre tutto rimane il partito con l’ipotetica golden share di una coalizione che non c’è. La Schlein non ha ancora risolto i problemi più evidenti: avere un’identità chiara, un’alleanza politica in grado di competere per il Governo del Paese. Si punta ancora molto sui diritti civili, si accentuano questi temi mentre la gente vive di economia. I comportamenti elettorali sono determinati da dinamiche soprattutto economiche. Manca una visione, una strategia. In questo momento la bandiera è il salario minimo, ma devono dimostrare di presentare una proposta complessiva per il Paese, come partito ma anche come coalizione.
Anche i 5 Stelle mantengono le loro posizioni?
Viaggiano intorno al 15-16%, ora sono al 15,3%. Hanno lo stesso problema del Pd. Sono passati da movimento di protesta a partito di governo. Il partito è uscito dalla fase antisistema e si è molto istituzionalizzato. Ha cambiato pelle e linguaggio: essere un partito che compete per il Governo del Paese fa pagare un prezzo. Essere fratelli gemelli del Pd, poiché tutti e due parlano allo stesso bacino elettorale, rende poi i 5 Stelle antagonisti dello stesso Partito democratico. Parlano la stessa lingua ma cercano di competere sugli stessi elettori.
L’area Renzi-Calenda ha accusato il colpo della separazione?
Sono quelli più in crisi. Azione è al 3,5%, Italia viva al 2,5%: sarebbero entrambi fuori dal quorum delle europee. Sembrano Kramer contro Kramer: il divorzio ha prodotto tossine.
Che cosa preoccupa di più gli italiani?
Il tema dell’inflazione e del costo della vita continua a essere il principale problema: 7 italiani su 10 la indicano fra le prime tre questioni da risolvere. Non c’è più la voce del costo dell’energia, ma restano quelle della spesa alimentare, dei trasporti, delle vacanze. Si sono erosi i risparmi e si è allargatala differenza fra i ceti più ricchi e il ceto medio da una parte e le fasce più deboli, che fanno fatica ad arrivare a fine mese, dall’altra. Questo tasso di inflazione è come se avesse tolto una settimana a chi prima faceva fatica ad arrivare alla quarta.
Un elemento che non danneggia il Governo?
In questa fase no. Bisognerà vedere sul lungo termine. Al Governo per ora vengono riconosciute alcune iniziative in questo campo, due su tutte: la riduzione del cuneo fiscale e gli interventi per tenere basso il costo dell’energia.
La guerra in Ucraina sembrava non essere più al centro dell’attenzione. È così anche dopo il fallito golpe in Russia?
Ha riacceso l’interesse sui rischi della guerra. Il 75% degli italiani si è preoccupato di quanto stava avvenendo in Russia, perché introduceva un elemento di destabilizzazione in più in un quadro già complicato. C’è sempre stata cautela per quanto riguarda l’invio delle armi, ma negli ultimi mesi si è attenuata. L’anno scorso la metà degli italiani era contraria all’invio delle armi e adesso questa percentuale è scesa di un paio di punti. Gli altri, invece, i favorevoli all’invio, erano intorno al 42%: ora sono cresciuti. Grosso modo gli italiani si dividono a metà. La maggioranza, però, è favorevole a sostenere l’Ucraina fino a che non si stabilizzerà la situazione.
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