Secondo un articolo pubblicato dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine, un’azienda farmaceutica sta sviluppando un innovativo farmaco per il trattamento del cancro al sangue. L’azienda, la Morphosys, circa tre anni fa è passata dallo svolgere soprattutto ricerche per conto di terzi, alla produzione interna di farmaci e soluzioni mediche, che ha portato al lancio di un farmaco antitumorale chiamato Monjuvi. Tuttavia, quella che sembrava una strategia vincente, a due anni dal lancio del farmaco non ha prodotto alcun risultato economico, ma anzi ha causato perdite all’azienda, che ora, grazie all’innovativa soluzione contro il cancro al sangue, spera di generare quello che in gergo si chiama “blockbuster”, ovvero vendite che toccano e superano il miliardo di euro.
Morphosys e il primo farmaco contro il cancro al sangue
Insomma, Morphosys dal fallimento di due anni fa ha deciso di spingere forte sull’acceleratore, sviluppando in tempi record quello che potrebbe diventare il primo farmaco al mondo contro il cancro al sangue. Infatti, l’obiettivo non è quello di immettere sul mercato una nuova soluzione per la chemioterapia, e neppure un farmaco di “seconda linea” (ovvero alternativo alla chemio, quando non da risultati), quanto piuttosto una soluzione primaria, che potrebbe sostituire la chemio, causa di un’eccessiva quantità di sofferenze per i pazienti che vi si sottopongono.
Per ora i ricercatori, in tempi record, sono riusciti ad arrivare alla terza fase dello sviluppo del farmaco contro il cancro al sangue, chiamato Pelabresib. Il preparato, in particolare, colpirebbe quella chiamata mielofibrosi, rara forma tumorale del sangue che presenta tutta una serie di invalidanti sintomi. Dalle analisi e dai trial, è emerso come il nuovo farmaco sarebbe riuscito, in circa il 50% dei casi, a ridurre il peggiore dei sintomi, ovvero l’ingrossamento della milza, riducendo di conseguenza tutti gli altri (stanchezza, affaticamento, sonnolenza, dolori generalizzati). Inoltre, la riduzione dei sintomi del cancro al sangue sarebbe avvenuta, nella maggior parte dei casi, entro la 24esima settimana di terapia, in linea con gli attuali farmaci chemioterapici.