I fumatori calano ma sono sempre troppi e l’Italia si trova a scegliere nuove strategie per cercare almeno di ridurre il danno da fumo. Il modello è quello del Regno Unito, il più efficace in questo momento: spingere verso l’utilizzo delle sigarette elettroniche , le e-cig, e del tabacco riscaldato per poi puntare a smettere definitivamente con il fumo. Lo spiega Fabio Beatrice primario emerito dell’ospedale San Giovanni Bosco di Torino.
Le ultime statistiche parlano di un calo di fumatori in Italia ma il numero in assoluto è sempre alto: 10 milioni. Cosa si può fare per ridurlo?
Per prima cosa bisogna mettersi in discussione e provare a smettere. Sono uscite le nuove linee guida dell’Istituto superiore di sanità, che fanno seguito ad altre linee guide europee e italiane pregresse: sul fatto che l’indicazione deve essere di smettere non c’è dubbio. Il problema è come i fumatori si pongono rispetto alla proposta di cessazione. Nei centri antifumo vengono poche persone e purtroppo anche applicando le linee guida circa la metà non ce la fa a smettere e ricade. Il problema è cosa fare per le persone che non vengono nei centri. E comunque anche la piccola quantità che si mette in discussione ha grosse difficoltà.
Ci sono alternative alla sigaretta, come il tabacco riscaldato e la sigaretta elettronica, che stanno prendendo piede. Quanto possono aiutare almeno a ridurre il rischio?
C’è una letteratura recente molto potente che fa riferimento a una Cochrane (l’istituzione che prende in esame tutta la letteratura nel mondo sull’argomento e la pesa in termini di rilevanza scientifica) uscita a fine 2022 e a un articolo importante di Nature Medecine di febbraio 2023 che prendono in considerazione la sigaretta elettronica come strumento di riduzione del rischio. Dicono cose interessanti e ad alto livello, perché parliamo dell’università di Harvard e del Royal King Hospital di Londra: chi passa alla sigaretta elettronica ha più chance di smettere rispetto a chi non lo fa. L’altro dato interessante è che pare che la nicotina dispensata con la sigaretta elettronica sia più efficace della nicotina somministrata farmacologicamente come terapia per smettere. La spiegazione è semplice: il fumatore prende la nicotina quando gli serve, mentre la standardizzazione della somministrazione farmacologica non risponde tanto alle esigenze della dipendenza dei singoli fumatori.
Cosa suggeriscono questi rilievi?
Viste le difficoltà a smettere di fumare io sono favorevole a una politica molto pragmatica, all’inglese: sostituire più rapidamente possibile il mercato del fumo combusto con questi prodotti di ultima generazione, in modo se non altro da ridurre in maniera consistente i prodotti della combustione.
Intende proprio sostituendo le sigarette in commercio?
Tenderei a sostituirle in maniera rapida. Il problema è che qualunque Stato fa difficoltà a rinunciare alle accise che arrivano dal fumo di sigaretta. In Italia sono 14 miliardi di euro. Si può individuare una strategia, ma questa prende molto tempo e noi intanto abbiamo a che fare con 90mila morti l’anno. Per questo avverto l’esigenza di un intervento rapido.
Ci vorrebbe, quindi, anche un piano industriale che tenga conto dell’impatto economico che questo cambiamento potrebbe avere?
Sì. Il problema è che se le proposte che vengono fatte non sono sostenibili economicamente qualunque Stato del mondo avrebbe difficoltà a seguire questa linea. Non deve essere intesa come una linea ostile o contraria alla proposta di cessazione. Credo che sia un intervento di aiuto alla popolazione di fumatori che non riesce a smettere, che sia i fumatori sia i non fumatori che poi pagano i costi delle cure dei fumatori, oltre che i Governi, abbiano interesse a intervenire. Non è un caso se in Gran Bretagna dal 2014 seguono attentamente le indicazioni sull’uso della sigaretta elettronica, consigliando addirittura ai medici di prescriverla, di indicarla ai fumatori incalliti resistenti alla cessazione. Anche in Francia mi risulta che stanno prendendo seriamente in considerazione questa ipotesi.
La politica da seguire, quindi, è quella che è stata messa in atto nel Regno Unito e in Nuova Zelanda usando prodotti alternativi alla sigaretta?
Esattamente. Secondo me il modello è quello inglese. Proprio gli inglesi hanno avuto i migliori risultati al mondo nella lotta al tabagismo. Sono i primi della classe. Partono dalla considerazione che c’è uno zoccolo duro di fumatori, che poi producono le malattie e i morti e decidono che per questo, visto che molti non vogliono smettere, tanto vale togliere loro drammaticamente i prodotti della combustione. Ormai ci sono molti lavori che danno praticamente per certo che la riduzione della tossicità da combustione con la sigaretta elettronica viaggia tra il 95 e il 98% a seconda del prodotto.
Quali sono le evidenze scientifiche che mancano per sostenere completamente la causa delle soluzioni alternative alle sigarette?
L’ultima Cochrane ha selezionato 40 lavori importanti su 72, relativi a 22mila casi che indicano chiaramente l’interesse a utilizzare la sigaretta elettronica, almeno in una fase di transizione, per andare a ridurre la tossicità, per dar tempo a un sostegno più convinto da parte dello Stato.
L’evidenza scientifica allora c’è già?
Ci sono evidenze che aprono scenari oltre la cessazione, sui quali la classe medica si deve interrogare. Dal 2000 mi occupo di aiutare persone a smettere di fumare con progetti in unità produttive grosse come Fiat, Maserati, lavorando a livello di migliaia di casi nel centro antifumo del San Giovanni Bosco. Credo che queste proposte non siano la soluzione del problema ma siano un grosso aiuto. Non c’è contrasto tra queste proposte e la proposta di cessazione. Ci sono delle linee guida e le seguiamo. Ma quelli che non riescono a smettere? Bisogna fare qualcosa anche per loro.
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