Sul precariato, la Cgil sbaglia ad avere una visione catastrofica, di una situazione che invece sarebbe in netto miglioramento come confermerebbero gli ultimi dati Istat su occupazione, salari e contratti stabili. Questo è il commento critico di Alberto Brambilla in un articolo pubblicato su Il Foglio, nel quale il consulente previdenziale afferma che la realtà è diversa rispetto a quella sistematicamente dipinta da Landini, che sostiene nei vari comizi e manifestazioni nazionali, l’importanza di invertire una tendenza ma trascurando i dati statistici veri, dai queli emergerebbe invece un miglioramento in atto, soprattutto sui nuovi occupati con contratti non a termine e un aumento di conseguenza della produttività e dei salari.
I contratti precari hanno raggiunto un minimo record storico, che non si verificava dal 2021, passando ad una minima percentuale su tutti i dipendenti del 15,9%, in linea quindi con gli altri paesi europei. Altra critica è per il fatto che da sempre la Cgil sostiene un intervento di governo per introdurre il salario minimo, ma contemporaneamente non tutela i lavoratori con un rinnovo dei CCNL, lavoro che sarebbe di competenza dei sindacati e di un dialogo con le aziende, invece di “sostituirsi alla politica“.
Su precariato e salario minimo “La Cgil promuove lotta di classe”
L’analisi di Brambilla sul Foglio in merito ai dati ISTAT sull’aumento dell’occupazione e dei contratti stabili, che quindi avrebbero fatto crollare la precarietà sul lavoro, nonostante quanto sostenuto dalla Cgil, si concentra anche sullo smentire la “leggenda” secondo la quale il paese starebbe diventando sempre più povero. In realtà, come viene affermato nell’articolo, “nel 2022 sono diminuiti sia il rischio di povertà che la disuguaglianza economica“, arrivando ad un indice del 16,8 rispetto al 18,6 del passato.
Certo, questo forse non significa che una parte della popolazione sia in gravi condizioni e rischia di peggiorare, ma ciò impone un’accurata indegine sulle cause. Non certo una “lotta di classe” che non rappresenta la soluzione al problema, accusando una parte di “avere troppi privilegi” e rivendicando il diritto ad una spesa assistenziale da aumentare prelevando fondi pubblici dai cosiddetti “extra profitti” o “grandi fortune“.