L’esame di maturità venne istituito nel 1923 con il Regio decreto 1054 e solo due anni dopo gli studenti si sottoposero alle quattro prove scritte previste dal regolamento attuativo. Dal 1997 ha la definizione meno altisonante di “esame di Stato”, ma il modello è ancora centralistico, proprio come 100 anni fa, quando fu voluto dal filosofo Giovanni Gentile, in qualità di ministro dell’istruzione dell’allora governo Mussolini. Oggi come allora ha detrattori e sostenitori. Certamente non è una tortura, come ha sostenuto Vittorio Feltri. Gli studenti, quelli preparati e quelli meno, lo temono e tutti gli anni la tensione davanti ai cancelli prima delle prove scritte è palpabile. Anche i docenti lo valorizzano o lo subiscono. Se sono scettici e sfiduciati diventa un inutile spreco di forze e risorse, se hanno ancora il desiderio di essere docenti ed educatori è un momento importante e in genere sono rigorosi e comprensivi.
In un secolo ha subito tante modifiche e nell’ultima versione è pensato come un concorso. Al credito scolastico (40 punti che risultano dalla media dei voti del triennio) si aggiungono i risultati delle 2 prove scritte e dell’orale (20 punti per ciascuna prova), per un totale di 100 punti. Un meccanismo a somma che valuta prevalentemente le prestazioni, ma che compensa le performance finali dell’esame con l’impegno continuativo degli ultimi anni di studio.
A prima vista sembra avere un’architettura agile, ma nei fatti non lo è. Non tutti sanno che è regolato direttamente da almeno 60 norme, tra leggi, decreti, ordinanze, regolamenti e note, più molte altre indirette. Il presidente e i commissari poi sono costretti a firmare ogni cosa, ponendo migliaia di firme autografe sulle carte di un procedimento che definire “borbonico” è un eufemismo. In alcune scuole si usa ancora il timbro con ceralacca che fa venire in mente “la bulla del pontefice in gotico latino” di una nota canzone di Francesco Guccini.
Ma non è finita. La commissione esamina due classi e per espletare le operazioni vengono redatti tra i 40 e i 50 verbali, ripetitivi e ridondanti fino alla noia, reperibili su “commissione web”, una piattaforma fornita dal ministero dell’Istruzione. Anche l’informatica però ha i suoi misteri e ai vecchi problemi si aggiungono i nuovi. L’apparato informatico e i server del ministero non funzionano e tutti gli anni all’inizio degli esami il sistema va in crash, perché non regge il numero di accessi. Eppure sono dati conosciuti. Quest’anno, ad esempio, le commissioni erano poco meno di 14mila. Un esito ovvio, ma nessuno al ministero si preoccupa e tutti gli anni il problema si ripete.
Tante norme permettono anche la facilità dei ricorsi al Tar e nelle pieghe delle leggi c’è sempre la possibilità di chiedere la revisione del giudizio. Tuttavia i tribunali amministrativi in genere danno quasi sempre ragione ai ricorrenti. L’ultimo caso riguarda una studentessa di Trento. È stata ammessa all’esame di Stato, nonostante le tante insufficienze, perché aveva superato un test di ingresso all’università. Un caso paradossale che ha visto la ragazza non superare lo scrutinio finale dell’ultimo anno per numerose insufficienze, ammessa all’esame dal tribunale e, notizia di oggi, nuovamente bocciata dalla commissione d’esame.
Non sappiamo se la famiglia farà nuovamente appello al Tar, anche se è molto probabile, visto che nell’aula dei colloqui erano presenti gli avvocati dell’allieva, ma è certo che il giudizio, pur motivato dei docenti, conta pochissimo per i giudici, i quali andranno a cercare nella procedura un appiglio per sospendere l’esito finale. Non ci sarebbe da stupirci perché l’invasione di campo della magistratura anche nella scuola è oramai un fatto acquisito, tanto che in una raccolta di firme dell’ultimo momento 110 professori trentini hanno scritto una lettera di protesta al ministro Giuseppe Valditara in cui si afferma che sempre più ragazzi “ricorrono a strade facili, aiutati dalle famiglie, per andare avanti” facendo poi notare come i docenti siano una “categoria umiliata da una decisione che la sorpassa e le toglie autorevolezza”.
Se per certi giudici l’esame di maturità sembra del tutto inutile, bisogna anche ricordare che lo supera la stragrande maggioranza degli studenti. Il tasso di selezione, infatti, è molto basso e negli ultimi anni si è attestato sullo 0,1 % dei candidati. Molti docenti fanno però notare che c’è una categoria particolare di diplomati. Sono quelli che vengono promossi con la cifra tonda di 60/100 e pare che siano coloro che ottengono il diploma con una spinta, proprio perché alla maturità non si boccia più. In ogni scuola ce ne sono pochi, per distinguerli da quelli che pur deboli ce la fanno con le proprie forze e che ottengono punteggi che partono da 63/64 su 100.
L’ultimo aspetto riguarda i commissari e i presidenti di commissione. Quest’anno erano oltre 90mila, tra docenti e presidi. Sono l’ossatura della scuola, ma nessuno li considera. Il loro lavoro è sempre meno valorizzato, i ricorsi, come abbiamo visto, sono sempre dietro l’angolo e i compensi ridotti. Quelli dell’esame non sono aggiornati dal 2007, visto che un presidente riceve 1.249 euro lorde, un commissario esterno 911 euro e un commissario interno 399. Miseri come i loro stipendi.
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