La Borsa di Milano ha chiuso ieri con un rialzo di quasi il 2% e i principali indici azionari europei e americani hanno registrato rialzi simili. È stato l’effetto della pubblicazione dei dati sull’inflazione americana di giugno che si è fermata al 3% contro attese del 3,1%; è il livello più basso da marzo 2021 e molto inferiore al picco del 9,1% di giugno 2022. Minore inflazione implica maggiori probabilità che la Fed finisca il percorso di salita dei tassi a breve; con il rialzo atteso a luglio si toccheranno i tassi più alti degli ultimi 22 anni. All’ultimo meeting di giugno, ricordiamo, la banca centrale americana ha preso una pausa dopo 10 rialzi consecutivi iniziati a marzo 2022; allora la maggior parte dei membri della Fed si attendeva altri due rialzi rispetto al livello attuale compreso tra 5% e 5,25%.
La battaglia contro l’inflazione è da quasi due anni l’argomento dominante nella discussione finanziaria e negli ultimi mesi anche politica perché i rialzi hanno spinto i tassi di interesse a livelli che impattano negativamente la vita delle famiglie e delle imprese.
Dentro il dato sintetico pubblicato ieri (+3%) si nascondono settori con dinamiche opposte. Scendono molto l’energia e le auto usate, salgono ancora considerevolmente i costi per l’abitazione, i trasporti e gli alimentari. Si apre ora una nuova fase perché la parte più facile della battaglia contro l’inflazione è terminata e da qui in avanti ulteriori riduzioni diventano più difficili. Ai tassi di inflazione, mese su mese, di ieri il rischio è anzi che sul finale d’anno, anche dato l’effetto base, la variazione dei prezzi possa ripartire; in ogni caso ulteriori riduzioni sono più complicate.
È curioso che il mercato abbia festeggiato il dato sull’inflazione di ieri con un rialzo delle principali materie prime a partire dal petrolio. È significativo perché se la scommessa sulla fine dell’inflazione e quindi dei rialzi dei tassi porta a prezzi del petrolio più alto, come da copione collaudato, si rischia un cortocircuito.
A meno di una recessione severa, che per ora non c’è, lo scenario rimane quello di tassi di interesse alti e questo si porta dietro alcune conseguenze. Le autorità politiche e monetarie sono strette tra l’esigenza di ammazzare l’inflazione, che è esplosa dove nessuno avrebbe voluto come gli alimentari, e quella di non ammazzare la crescita o di non causare una recessione. Questo avviene in una fase di stravolgimenti geopolitici che riguardano i mercati energetici e quelli dei beni fisici.
L’Europa è al centro di questi cambiamenti perché è importatore di materie prime ed esportatore di beni finiti. L’equazione, l’esigenza di ammansire l’inflazione senza rovinare l’economia, si può chiudere con successo solo se si ottengono forniture energetiche abbondanti ed economiche. Queste sono la condizione per difendere le imprese in uno scenario competitivo difficile in cui le materie prime sono più costose economicamente e politicamente; sempre più spesso i Paesi produttori ambiscono a tenere in patria le risorse per alimentare la crescita interna. La fine delle catene di fornitura centrate sulla Cina è inflattiva perché i beni prodotti in Occidente costano di più. Si può dar vita a un circolo virtuoso se il rimpatrio delle produzioni porta con sé, oltre a costi più alti, anche gli stipendi.
Senza risorse energetiche abbondanti ed economiche risolvere l’equazione che viene presentata dalla fine di un mondo di tassi a zero e globalizzazione delle merci senza freni è impossibile e i Governi si trovano stretti nella scelta impossibile di sconfiggere l’inflazione, la più iniqua delle tasse come abbiamo imparato in questi mesi, o mantenere la crescita. L’Europa in questo è su una traiettoria suicida come si è visto ancora una volta ieri con il voto della “legge sulla natura”. Non si capisce come si possano portare indietro le lancette del lavoro dell’uomo sulla natura e nel frattempo scommettere forte su solare ed eolico, chiudendo le centrali nucleari, e nello stesso tempo sperare di uscire indenni dagli stravolgimenti geopolitici che sfidano il modello europeo più di ogni altro e che hanno una soluzione possibile solo nei prezzi dell’elettricità bassi.
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