Paolo Savona, presidente della Consob (Commissione nazionale per le società e la borsa), ha recentemente rilasciato un’intervista per il quotidiano La Stampa nella quale ha parlato della particolare situazione economica che l’Italia, e numerosi altri partner europei, sta vivendo. Avverte subito che il deficit a livelli maggiori che negli ultimi 5 anni, situazione che se non fosse momentanea “sarebbe un guaio”.
“Abbiamo abbondante risparmio”, spiega Paolo Savona, “ma non si indirizza verso il mercato finanziario, le cui attività sono meno protette rispetto al mercato monetario e bancario”, ed oltre a questo c’è anche un vincolo, “dovuto a un debito pubblico in eccesso rispetto a patti europei liberamente accettati, un problema che andrebbe affrontato senza penalizzare la crescita reale”. Tuttavia, ritiene anche che “il destino del governo non è legato a questo, visto che sono gli elettori a chiedere più disavanzo, più debito. Dicono che l’avversario sia l’Europa. Non è così. L’avversario è l’Italia che ha sottoscritto quei patti”. Infatti, per Savona, “in troppi vedono nel debito pubblico la fine dell’essenza del problema economico, che è la scarsità di risorse”.
Paolo Savona: “La politica monetaria BCE può diventare dannosa”
Secondo un recente intervento di Paolo Savona, l’inflazione rappresenterebbe un problema per la stessa essenza della democrazia, ma di contro, spiega a La Stampa, “la politica monetaria [della BCE] può spingersi fino a un punto oltre il quale crea più danni che vantaggi“. Similmente, “anche la politica fiscale non si può spingere oltre, perché non può aumentare la tassazione e, laddove il debito è elevato, perché l’indebitamento costa di più ed è più difficile da collocare e rinnovare”.
Rimanendo a tema inflazione e aumento dei tassi da parte della BCE, Savona spiega che a farne le spese sono “i risparmi finanziari [che] perdono valore, che recuperano solo in parte con maggiori remunerazioni. Se i tassi restano reali negativi”, ovvero inferiori all’inflazione, “sarà il risparmio nel suo complesso a pagare le conseguenze”. Ritiene, invece, una buona scelta quella di non remunerare i conti correnti, perché così si spingono “i titolari a spostarsi sulle attività finanziarie per alimentare il credito agli investimenti, che rappresenta un modo per ‘uscire dall’inflazione dall’alto’, senza gravi crisi”.