Mi cospargo il capo di cenere. E lo faccio volentieri. Perché a leggerla così, come farà il 90% degli italiani che sbircia i titoli e i sommari dei tg, la questione terza rata del Pnrr pare giunta alla sua conclusione. Di più: anche la quarta, via libera dall’Ue. E il tutto con un esborso totale di 35 miliardi che Roma punta a ottenere già entro quest’anno. Con tanto di annuncio ufficiale del ministro Fitto.
Cosa mi turba, allora? Al netto della richiesta italiana di utilizzo proprio di parte dei fondi Pnrr per i crediti del superbonus giunta solo ieri, è la natura del nodo che finora avrebbe generato l’impasse. Risolto di colpo. In 36 ore. Lo spostamento dalla terza alla quarta rata di 519 milioni per gli alloggi universitari. Di fatto, quattro mesi di braccio di ferro solo per decidere di far slittare il piano di edilizia scolastica e di cambiare quindi gli ammontare delle due rate interessate. La prima scende a 18,5 miliardi dai 19 iniziali e la seconda sale a 16,5 dai 16 miliardi iniziali. Et voilà, tutto risolto. E state certi che le prime pagine dei giornali faranno passare questo messaggio. Mentre, ovviamente, hanno evitato di ragguagliare su quell’inserimento del superbonus nel finanziamento del Pnrr. Ovvero, l’implicita richiesta di garanzia europea su 30 miliardi di crediti incagliati che stanno facendo fallire aziende e togliendo il sonno all’Abi, già alle prese con la patata bollente di surroghe e rinegoziazioni di mutui. E relativi costi.
Insomma, solo 48 ore fa Roma ha chiesto all’Europa di finanziare un nuovo pacchetto di incentivi edilizi contenuto nel piano RepowerEU, il capitolo del Pnrr dedicato all’efficientamento energetico. Tradotto brutalmente, Roma sta tentando di ottenere il finanziamento diretto del deficit generato dal supebonus nei conti pubblici tramite una de facto garanzia europea sui 30 miliardi di crediti incagliati che permetta il loro sblocco a costo zero per banche e Governo. E spiani quindi la strada a un nuovo flusso di incentivi, attualmente impossibili stante lo stop del Mef. A quel punto, ecco che ripartiranno le cessioni. Magari, le cartolarizzazioni. E con l’Ue a operare in modalità Cassa depositi e prestiti, nessuno farà più lo schizzinoso. Le banche, di colpo, digeriranno il boccone andato loro di traverso in primavera. E dopo un rutto liberatorio in stile Fantozzi, magari ricominceranno con maggior lena a parlarsi in vista di aggregazioni non più rinviabili. Vuoi vedere che il titolo Mps in spolvero (+9% sul mese e +5,6% sui 5 giorni) e sopra quota 2,50 per azione deve molto del suo rinnovato smalto al wishful thinking su questa nuova campagna europea del governo, tanto da addetti ai lavori quanto estremamente azzardata?
Torniamo all’oggi e al trionfale annuncio del ministro Fitto. Ora, mi scuserete se – come base di approccio – ho quella del finché non vedo, non credo. Ovvero, il “bonifico” europeo deve avvenire e non solo essere annunciato. Anche perché non più tardi di una settimana fa, il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, aveva annunciato tempi e verifiche molto lunghe per l’esborso della quarta rata, stando il drastico cambio in corso degli obiettivi operato dalla Cabina di regia del Governo italiano. Cosa è successo negli ultimi giorni? A livello ufficiale, nulla. Molte polemiche sulla giustizia. Un gran parlare di caldo. E del figlio di La Russa. E di Lukaku. Ma il fatto che, di colpo, non una ma due rate del Pnrr vengano annunciate come sbloccate di colpo, solo 24 ore dopo che è emersa la richiesta italiana di inserire di fatto il superbonus nel calderone dei fondi, a me provoca brividi lungo la schiena. Perché nemmeno il più fedele elettore dei partiti della coalizione di governo può credere che una tarantella di quattro mesi possa essere stata risolta con lo spostamento di 519 milioni su 35 miliardi totali. Oltretutto, legati al tema importante ma non certo esiziale – tantomeno per l’Europa – degli alloggi universitari.
E il brivido aumenta, pensando a come il Quirinale abbia ingoiato il rospo in formato pachiderma dell’invio alle Camere del Ddl Nordio, Sempre mercoledì. Nel giorno dello sbarco in Europa del tema superbonus. Perché bloccarlo avrebbe significato far fibrillare la coalizione. E armato lo spread. Stiamo vivendo un 2011 sotto copertura? Di più, l’Europa ci ha appena salvato? Forse, in realtà, ha solo rimandato il redde rationem di qualche settimana. Perché da qualche settimana, l’Europa sta lavorando sottotraccia. E chiunque conosca un minimo il mondo bancario, è conscio che quella emersa nella giornata di mercoledì da fonte Bce e riportata in esclusiva da Bloomberg sia l’unica notizia degna di interessa della giornata. Forse della settimana. Certo, pettinarsi l’ottimismo con la riga in mezzo delle trimestrali Usa e la brillantina dell’inflazione Ue solo a 3x abbondante sul livello obiettivo è comodo. Un po’ meno il fatto che, comunque sia, le aspettative fossero altre. Quindi, la prossima settimana si alza ancora il costo del denaro.
L’ultimo ritocco? Chissà. Forse sì. Perché questa notizia ci dice come la Bce stia entrando in scia con le preoccupazioni della Fed. E come il vero problema, adesso, sia quello di un Qt che rischia di trasformarsi in detonatore di crisi di controparte, congelamento dell’interbancario e tassi overnight ingestibili. Quantomeno per chi, a differenza delle banche regionali Usa che vivono attaccate al respiratore della facility Fed, ora non può contare su un sostegno diretto. Anzi, i Tltro pandemici ha dovuto ripagarli. La Bce sta pensando a una review su base settimanale dei livelli di liquidità delle banche europee: praticamente, un colossale prelievo anti-doping da parte di chi quel doping lo ha fornito. E che ora – non volendo prendersi la colpa del prossimo terremoto creditizio, dopo le critiche su un ciclo rialzista troppo rapido – comincia a roteare un’immaginaria stecca dell’olio, al fine di evitare che il meccanismo grippi.
Passerà una simile richiesta? Difficile. Anzi, impossibile. Perché se in piena contrazione del credito cominci a fare le pulci sui livelli (reali) di liquidità, le opzioni sono due. Primo, totale chiusura del rubinetto di prestiti e mutui verso imprese e famiglie. Quindi, detonatore e amplificatore di recessione. Secondo, corsa al maquillage off-balance e alla trasformazione dei Level 3 in sliding doors. Peccato che nel processo, a restare quasi certamente incastrati nelle porte sarebbero i famigerati AT1, gli stessi divenuti famosi con la crisi di Credit Suisse. I quali devono la loro natura ibrida proprio alla prerogativa di trasformazione da bond in equity, in caso di superamento al ribasso di una soglia di capitale.
La Bce annuncia solo per spaventare e vedere l’effetto che fa al mercato, uno stress test ufficioso? Probabile. Resta un fatto: potenzialmente, una mossa simile su sistemi bancari sovra-esposti al debito e alle sofferenze potrebbe avere conseguenze reputazionali e di fiducia ben peggiori della battaglia in seno alla Commissione Ue sui limiti alle detenzioni di debito sovrano. Se ricordate, all’epoca il nostro spread non gradì. Oggi, poi, scontiamo già 30 miliardi di crediti incagliati del superbonus (la cui eventuale risoluzione è appunto essa stessa nella mani dell’Europa), circa 15 di rate non pagate su mutui e credito al consumo (al 31 marzo scorso) e l’Abi alla disperata ricerca di soluzioni a costo zero per evitare uno tsunami sul caro-tassi. Casualmente e di colpo, l’annosa questione delle rate del Pnrr si sblocca. Come per magia. Come se ci stessimo per approcciare – inconsapevoli e in coda verso le spiagge, parlando del caldo e di Lukaku – a un fine settimana in stile Credit Suisse.
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