Nella giornata di oggi la Procura di Brescia ha chiesto, nell’ambito dell’inchiesta covid, l’archiviazione delle accuse contro Attilio Fontana (governatore della Lombardia), Giulio Gallera (ex assessore al welfare regionale) e gli altri 11 indagati, tra cui Agostino Miozzo, Silvio Brusaferro e Claudio D’Amario. Un esito, insomma, del tutto identico a quello che ha già interessato l’ex premier Giuseppe Conte e l’allora ministro della Salute, Roberto Speranza.
Le accuse mosse contro Fontana, Gallera e gli altri 11 indagati nell’inchiesta covid riguardavano soprattutto la prima ondata della pandemia. In merito alle accuse di epidemia colposa ed omicidio colposo i giudici ritengono che si tratti di reati commissivi, per i quali tuttavia non sono state contestate omissioni. Infatti, prima del lockdown indetto da Giuseppe Conte, le autorità lombarde si erano già mosse autonomamente per contenere i contagi. Similmente, in merito alle accuse nell’inchiesta covid contro Fontana e Gallera di non aver indetto la zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, secondo i giudici non vi sono prove che si sarebbero risparmiate delle vite umane, sottolineando che si tratti di “una mera ipotesi teorica [senza alcun] minimo riscontro”. Infine, sul piano pandemico non attivato ed aggiornato, secondo i giudici non v’è possibilità di ritenere che sarebbe stato adeguato contro il covid.
La posizione di Fontana sull’inchiesta covid
Insomma, a conti fatti i giudici di Brescia non ritengono né Fontana, né Gallera, né gli altri 11 indagati (e neppure Speranza e Conte) colpevoli delle accuse mosse all’interno dell’inchiesta covid. In generale, infatti, non vi sarebbero prove per dimostrare che si sia agito in modo scorretto, o che una differente mobilitazione avrebbe potuto risparmiare delle vite umane, a differenza di quanto sostenuto da Andrea Crisanti in una perizia.
Durante l’interrogatorio ad Attilio Fontana per l’inchiesta covid, evidenzia il Corriere della Sera, è emerso come “il governatore ha dimostrato che sia lui che Regione Lombardia fossero assolutamente preoccupati e proponessero di adottare misure o comunque di non allentare quelle già in atto”, ha sostenuto l’avvocato Jacopo Pensa. “Fu il primo a indossare la mascherina il 26 febbraio”, ha aggiunto il collega, sempre difensore di Fontana per l’inchiesta covid, “a chiedere che venissero chiusi i centri commerciali, a insistere sul fatto che non si trattasse di un’influenza ma di qualcosa di più. E a comunicare costantemente con il Governo”.