Nei giorni scorsa la maggioranza parlamentare che appoggia il Governo Meloni ha presentato in sede di commissione Lavoro alla Camera dei deputati un emendamento soppressivo dell’intera proposta di legge delle opposizioni (unite?) sul salario minimo a 9 euro l’ora. È facile, quindi, immaginare che il percorso legislativo appena iniziato sia già finito e che, a breve, il progetto di legge venga accantonato.
In questo quadro la commissione aveva, tuttavia, avviato un’interessante campagna di ascolto di una vasta gamma di stakeholder a vario titolo interessati. Tra questi merita, in particolare, una segnalazione la posizione espressa dai consulenti del lavoro chiamati, tutti i giorni, a elaborare buste paghe e cedolini.
I consulenti sostengono, in coerenza con il Ministro, ed “ex collega”, Calderone, che il salario minimo non sia la soluzione alle basse retribuzioni e allo sfruttamento e che sia, altresì, meglio puntare sulla valorizzazione della contrattazione collettiva.
L’analisi presentata ha, quindi, preso in rassegna ben 63 contratti collettivi, selezionati tra i più rappresentativi, individuando per ciascuno il minimo retributivo previsto per il livello di inquadramento più basso comprensivo dei ratei di mensilità aggiuntive (la tredicesima mensilità ed eventuale quattordicesima), nonché la quota di Tfr, che costituisce una parte della retribuzione, sebbene differita.
Il risultato dello studio è che oltre la metà dei Ccnl analizzati è superiore alla soglia dei 9 euro: 39 sono al di sopra, 22 al di sotto. Di questi ultimi, 18 sono compresi tra gli 8 euro e gli 8,9, mentre i restanti 4 (industria delle calzature, settore privato dell’industria armatoriale, industria del vetro e delle lampade, operai agricoli e florovivaisti) sono tra i 7 e i 7,9 euro. Si ritiene, insomma, che l’introduzione di un salario minimo legale, anziché rappresentare la soluzione, comporterebbe alcune controindicazioni: in primis, la marginalizzazione del ruolo della contrattazione collettiva, che in Italia è stata largamente usata per garantire a tutti i lavoratori le giuste e idonee tutele.
Il salario minimo potrebbe, inoltre, risultare un intervento eccessivamente semplicistico rispetto all’effettiva tutela del trattamento globale, economico e normativo dei lavoratori che è ben più elevata del “solo” salario minimo tabellare. Infine, i consulenti valutano estremamente limitante che la misura non riguardi anche i collaboratori domestici che spesso faticano a raggiungere un “salario” dignitoso pur svolgendo un lavoro sempre più fondamentale per la nostra “vecchia” società.
Oltre a questo, si immagina che la previsione di una simile misura determinerebbe un innalzamento complessivo del costo del lavoro a carico delle aziende con un effetto trascinamento su tutti i livelli retributivi più alti del minimo specialmente in quei settori incapaci di assorbire l’incremento retributivo previsto.
Il salario minimo e la soluzione “contrattualistica” hanno, tuttavia, un elemento in comune: guardano, fondamentalmente a chi un lavoro “addirittura” regolare lo ha già. Nessuna proposta si fa, ahimè, carico di un lavoro “decente” per i tanti (troppi) lavoratori in nero (o in grigio) che ancora caratterizzano il nostro Paese e dei tanti esclusi dal mercato per cui un lavoro, anche se povero, continua a rimanere un miraggio.
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