In Germania, a pochi giorni dall’annuncio americano sulle forniture di bombe a grappolo all’Ucraina, le due principali chiese cristiane del Paese dicono la loro, sia pure con qualche imbarazzo. Da parte cattolica si registra la presa di posizione di Pax Christi che ha inviato una lettera al Parlamento tedesco e al presidente federale Steinmeier in cui si chiede di intervenire perché tanto gli Usa che la Federazione Russa aderiscano alla messa al bando delle bombe a grappolo. Come ormai riportato da molti organi di stampa, le bombe a grappolo restano sul terreno per decenni, divenendo, di fatto, delle mine antiuomo, con gravissimi rischi di morti e mutilazioni. In nessun modo, quindi, possono essere considerate come armi “difensive” o “proporzionali”, e risultano quindi del tutto incompatibili anche per i sostenitori della cosiddetta guerra giusta.
Pax Christi, nel suo comunicato, non ha mancato di far notare che a firmare per la Germania l’accordo internazionale di Oslo per la messa al bando delle bombe a grappolo era stato proprio Frank-Walter Steinmeier, all’epoca ministro degli Esteri e oggi presidente della Repubblica Federale Tedesca. Dopo l’annuncio di Biden, Steinmeier nello scorso fine settimana, in un’intervista rilasciata alla ZDF, il secondo canale televisivo tedesco, aveva difeso la storica decisione tedesca, come Paese sottoscrittore della messa al bando di tali armi, ma asserendo che non ci si poteva mettere di mezzo alle decisioni degli Usa.
L’equilibrismo dialettico di tale dichiarazione non è sfuggito a Pax Christi e nemmeno ad alcuni esponenti della Chiesa evangelica tedesca. Ancor più radicale la dichiarazione del vescovo evangelico Heinrich Bedford-Strohm, già presidente della EKD (la Chiesa evangelica tedesca), che ha definito inaccettabile la consegna all’Ucraina delle bombe a grappolo e il loro impiego, non solo in quanto del tutto in contraddizione con la proporzionalità dei mezzi rispetto allo scopo della difesa, ma come fase ulteriore di escalation militare e salto nel vuoto delle sue possibili conseguenze. In Germania, accanto alle due chiese storiche più importanti, quella cattolica e quella evangelica-luterana, esiste un arcipelago di “chiese libere”, quasi tutte completamente ostili alla guerra in corso e alla sua intensificazione mediante la consegna di armi da parte del governo federale (e dei Paesi occidentali) e, dunque, su una posizione di pacifismo radicale.
La Germania, del resto, su pressione Usa, è uno dei principali fornitori di armi pesanti all’Ucraina. Anche se l’economia tedesca nel suo complesso sta pagando un prezzo altissimo con le sanzioni alla Russia, uno dei pochi settori in espansione è proprio quello dell’industria militare. Nell’opinione pubblica, peraltro, non manca chi se ne è reso conto e cerca di difendere le ragioni della pace, malgrado il monopolio bellicista dell’informazione. Espressione, trasversale, di queste posizioni a favore di una cultura della pace è la “Aktion Aufschrei”, “Iniziativa Grido: fermiamo il traffico di armi”, che, in questo momento è davvero “voce di uno che grida nel deserto”, dal momento che i media tedeschi sono quasi completamente allineati sulle posizioni americane, in un Paese che, come l’Italia, è palesemente a sovranità limitata. Gli equilibrismi di Steinmeier e la prudenza di Scholz si spiegano certamente con la difficoltà, se non impossibilità, sia di dare spazio ai sentimenti più profondi di un’opinione pubblica che non vuole la guerra, che di tutelare gli interessi europei, anche economici, in un quadro internazionale dove la Germania (e con essa l’Ue) contano in realtà molto poco sul piano politico-decisionale.
A oggi, la stessa Conferenza episcopale tedesca, che pure nel 2011 aveva sostenuto, per voce del suo presidente monsignor Georg Bätzing, la totale messa al bando delle bombe a grappolo, non ha espresso direttamente una sua posizione, forse anche perché consapevole dell’equilibrio estremamente precario in cui si muove la politica tedesca, dove alla prudenza del cancelliere si contrappone la furia guerrafondaia dei Grünen, i verdi.
Tra i teologi cattolici di area germanofona il dibattito è aperto, tra chi sostiene il concetto tradizionale di guerra giusta (quando il danno dell’aggressione sia durevole, grave e certo; non vi siano alternative al ricorso alle armi e ciò non provochi mali più gravi) e chi ritiene che tali criteri non siano più adeguati al nostro contesto storico. Così, Wolfgang Palaver, docente di etica sociale e già decano della facoltà di teologia di Innsbruck, in Austria, schierandosi contro l’escalation della guerra in Ucraina, cita l’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco, dove si osserva che per tutte le guerre combattute negli ultimi decenni si sono sempre trovate delle motivazioni per considerarle “giustificate”, così che “facilmente si opta per la guerra avanzando ogni tipo di scuse apparentemente umanitarie, difensive o preventive, ricorrendo anche alla manipolazione dell’informazione”.
Palaver cita, poi, un altro passaggio dell’enciclica, secondo cui i criteri tradizionali della cosiddetta guerra giusta (che vengono addotti come giustificazione alla consegna di armi pesanti all’Ucraina) sono da considerare insufficienti: “con lo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi possibilità delle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti. Dunque non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile ‘guerra giusta’. Mai più la guerra!”. Ce n’è abbastanza per poter dire di no alle bombe a grappolo e a qualunque forma di estensione del conflitto in corso.
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