OPZIONE DONNA, INCOGNITA FINO A SETTEMBRE
Come ricorda Avvenire, “il tavolo tecnico in corso tra Governo e sindacati ha affrontato diversi aspetti di un prossimo ‘pacchetto pensioni’, con accenni preliminari all’Ape sociale, alla previdenza complementare, alla flessibilità di uscita dal lavoro. Nessun riferimento invece a ‘Opzione Donna’, sempre connotata dal calcolo contributivo imposto alla sua liquidazione”. Come ricorda Vittorio Spinelli, autore dell’articolo pubblicato dal quotidiano della Cei, “i dati storici dell’Inps confermano un costante accesso delle lavoratrici, ma a sorpresa le ultime rilevazioni trimestrali dell’Istituto di previdenza segnalano un deciso calo nelle domande. In ogni caso, per saperne di più su una ‘Opzione Donna 2024’ (con una conferma o con modifiche più favorevoli) occorre attendere il 5 settembre, appuntamento messo in agenda con le parti sociali per una soluzione da inserire nella stesura della prossima legge di Bilancio”.
QUOTA 41 “LIGHT”, COSA SUCCEDE SULLA RIFORMA PENSIONI
Visti i conti fatti dalla Ragioneria di Stato in merito alla Quota 103 strutturale o ad una piena Quota 41, avanza l’ipotesi che il MEF assieme al Ministero del Lavoro spingano per una Quota 41 “light” nella riforma pensioni del prossimo anno: in questo modo si avrebbe un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno per coloro che decidono di andare in pensione con 41 anni di contributi, senza aspettare i requisiti per la pensione anticipata.
Si porta dunque una penalizzazione sull’importo della pensione che comporterebbe di fatto automaticamente una ridotto numero di beneficiari: a quel punto infatti, spiega il focus di “Pensioni per tutti”, «molti potrebbero preferire continuare a lavorare per circa 2 anni in più, rinviando l’accesso alla pensione fino al raggiungimento dei requisiti stabiliti dalla legge Fornero, piuttosto che subire una decurtazione dell’assegno pari al 10%-15% (a seconda dei casi)». (agg. di Niccolò Magnani)
RIFORMA PENSIONI, I COSTI DI UNA QUOTA 103 STRUTTURALE
Come riporta Il Sole 24 Ore, nel report della Ragioneria generale dello Stato sulla spesa pensionistica viene spiegato che l’introduzione in via permanente di Quota 103 “pur ipotizzando l’adeguamento del requisito anagrafico agli incrementi della speranza di vita, produrrebbe una maggiore incidenza della spesa in rapporto al Pil valutabile in 8,4 punti percentuali rispetto ai risultati della legislazione vigente”. Il quotidiano di Confindustria traduce tutto questo in un costo di “quasi 170 miliardi nell’arco di 50 anni”. Difficilmente Quota 103 verrà resa strutturale, ma potrebbe esserci una sua proroga nella Legge di bilancio. Il Sole 24 Ore ricorda che “proprio il tema della flessibilità in uscita, Quote incluse, sarà al centro del nuovo round tecnico in calendario domani tra l’Osservatorio sul monitoraggio della spesa previdenziale e le parti sociali. Con i sindacati che hanno però chiesto la partecipazione anche del ministro del Lavoro, Marina Calderone”. Vedremo cosa emergerà.
I DATI DELLA RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO
Secondo la Ragioneria generale dello Stato, le spesa per le pensioni nel 2023-24 crescerà al 16,2% del Pil rispetto al 15,6% del 2022. Come riporta Teleborsa, il rapporto “Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario” evidenzia che tali previsioni “scontano, inter alia, gli effetti della elevata indicizzazione delle prestazioni imputabili al notevole incremento dell’inflazione in 2022 e 2023”. Quota 100, Quota 102 e Quota 103 hanno un impatto inferiore. “Negli anni successivi, il rapporto tenderà invece a stabilizzarsi fino al 2029, per l’esaurirsi degli effetti di Quota 100, Quota 102 e Quota 103 e per l’ipotizzato parziale recupero dei livelli occupazionali. Si assisterà inoltre alla prosecuzione graduale del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento e alla contestuale applicazione del sistema di calcolo contributivo. Dopo il 2029, però, il rapporto spesa-Pil aumenterà di nuovo velocemente fino al 17% nel 2042: salirà infatti il rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica”.
RIFORMA PENSIONI, LA PROPOSTA DI LEGGE SUL TFM
Oggi il Consiglio regionale pugliese dovrebbe discutere delle proposta di legge, presentata, come ricorda l’edizione barese di Repubblica, da Pd e liste civiche di centrosinistra, per ripristinare il Trattamento di fine mandato. La Segretario generale della Cgil Puglia, Gigia Bucci, ritiene che “a fronte delle indennità che già percepiscono i consiglieri, reintrodurre quell’elemento di indennizzo è un atto lontano dalla realtà, fatta di inflazione che erode redditi e pensioni, lavoro precario, difficoltà a curarsi e assicurare a se stessi e alla propria famiglia bisogni primari”. Secondo la sindacalista, la proposta di legge rappresenta “un atto che rischia di aumentare la distanza tra i rappresentanti e i cittadini”.
LA POSIZIONE DELLA CGIL E DI VENDOLA
In ballo, di fatto, ci sono circa 35mila euro da riconoscere a ciascun consigliere al termine dei 5 anni di legislatura. E Nichi Vendola, ex Governatore della Puglia, auspica “che il Consiglio regionale pugliese possa accogliere la sollecitazione a un ripensamento sulla questione del ripristino del Trattamento di fine mandato, abolito durante la mia ultima legislatura da Governatore”. Un dettaglio non trascurabile della proposta è che sarebbe retroattiva e dunque il Trattamento di fine mandato sarebbe riconosciuto a partire dal 2013. “Confidiamo in un atto di responsabilità a fronte di un provvedimento che sfidiamo a spiegare ai cittadini in un contesto difficile qual è quello che stiamo attraversando”, aggiunge Bucci. Vedremo quali saranno le conclusioni cui giungerà il Consiglio regionale dopo il dibattito sulla proposta.
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