Gli Usa hanno respinto la richiesta di mettere fine all’azione penale contro Julian Assange che era stata presentata dall’Australia. Il fondatore di Wikileaks è accusato di violazione dell’Espionage Act (contestato per la prima volta in un caso di pubblicazione di documenti riservati sui media) per avere contribuito a svelare dal 2010 documenti segreti del Pentagono relativi a crimini di guerra in Afghanistan e Iraq. La condanna che rischia è fino a 175 anni di carcere.
Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, come riportato dal Guardian, ha rifilato un secco “no” alla controparte australiana, sostenendo che l’imputato “ha rischiato di causare danni molto gravi alla nostra sicurezza nazionale”. È per questo motivo che le autorità statunitensi non intendono soprassedere. Il colloquio sarebbe avvenuto in occasione di una riunione a Brisbane, in Australia, dedicata alla cooperazione militare e in particolare sui sommergibili nucleari. All’incontro erano presenti anche il capo del Pentagono, Lloyd Austin, e i ministri australiani di Difesa, Richard Marles, ed Esteri, Penny Wong.
Julian Assange, Usa rifiutano richiesta di fine azione penale di Australia: la discussione
Anche Antony Blinken stesso ha confermato l’arrivo della richiesta di fine azione penale dall’Australia per Julian Assange e ha ammesso di “comprendere le ragioni e le preoccupazioni” dei connazionali del fondatore di Wikileaks ma ha allo stesso tempo ribadito che è un dovere degli Usa continuare ad approfondire le responsabilità del “whistleblower”. In particolare, il segretario di Stato americano ha sottolineato che è necessario appurare il suo “presunto ruolo in una delle più grandi compromissioni di informazioni riservare della storia del nostro Paese”.
Il giornalista, hacker e programmatore è attualmente detenuto in Gran Bretagna e sta aspettando il verdetto sull’estradizione voluta da Washington. Esso dovrebbe arrivare entro un mese. Il 20 aprile 2022 la Westminster Magistrates’ Court di Londra aveva infatti emesso l’ordine formale, salvo poi un ricorso dell’ultimo minuto presso l’Alta Corte. Adesso la decisione spetta alla ministra degli Interni, Priti Patel, ma il via libera finale appare scontato.