Il terrore è lo strumento per rendere più manovrabili i cittadini. A lanciare l’avvertimento è Andrea Venanzoni, costituzionalista e consulente giuridico di importanti istituzioni pubbliche, oltre che ricercatore presso l’università Roma Tre, saggista e collaboratore di testate giornalistiche come Il Foglio e Il Riformista. Nel suo ultimo libro, La tirannia dell’emergenza, spiega come il burocrate sia il trionfatore. «Già qualche anno fa volevo occuparmi dei prefetti e dei sindaci che ricorrono spesso a ordinanze e atti speciali. Ma l’avvento della pandemia e dell’emergenza climatica sono diventati un movente ancora maggiore e ora la vera promozione di questo libro», spiega Venanzoni a La Verità.
Nell’intervista spiega che con la pandemia Covid e «l’isteria diffusa» per il cambiamento climatico, ci ritroviamo «davanti a una pornografia della catastrofe». Oltre ad allontanare il dibattito pubblico, e quindi una soluzione, «finisce per terrorizzare la popolazione rendendola manovrabile». In una situazione in cui servono risposte rapide, si accettano imposizioni di regole e limitazioni di libertà individuali, come accaduto in occasione della pandemia. Invece, «nel diritto ambientale si afferma per la prima volta il principio di precauzione, limitando azioni senza avere la certezza scientifica che provochino danni». Ma questa politica, che Venanzoni definisce di limitazione ex ante, in realtà «è un grande freno all’innovazione».
“EMERGENZA ALIBI PER ELIMINARE DISSENSO”
Se la dittatura è legata ad una persona, nella tirannia dell’emergenza di cui parla Andrea Venanzoni è il burocrate il vero trionfatore, perché «prevale il sistema». Dunque, un’emergenza «può diventare laboratorio di ingegneria sociale», afferma il costituzionalista a La Verità. Come durante la pandemia, anche ora per la crisi climatica si parla di cambiare la visione del mondo, ma Venanzoni preferisce non citare il Grande reset, onde evitare l’accusa di complottismo. «L’emergenza è il paradiso del burocrate che finalmente può operare senza quelli che vede come intralci e che, in realtà, sono garanzie per il cittadino». Nel caso della pandemia Covid, «l’istituzionalizzazione della morte è diventata parte del dispositivo burocratico» e il lutto è stato burocratizzato, infatti «si è reso impossibile porgere l’ultimo saluto al morto per Covid, con conseguenze psicologiche serie in chi è ancora vivo». Invece, lo Stato, e quindi il burocrate, si pongono come la cura.
Per Venanzoni, comunque, questa tirannia non è improvvisa, ma frutto di un processo che fa risalire nel tempo. Il costituzionalista colloca l’inizio al terrorismo politico degli anni ’70, poi cita quello di matrice religiosa e jihadista, quindi le prime emergenze sanitarie e la crisi climatica. Il ruolo dell’uomo non è cambiato: nel caso della pandemia è lui il virus, nel caso della crisi climatica è colui che danneggia l’ambiente. «L’emergenza è l’alibi per eliminare ogni possibilità critica: dissenso equivale a tradimento. Da qui il ricorso a un linguaggio quasi bellico perché l’emergenza è come una guerra», e quindi si prende posizione. D’altra parte, senza un’autorità superiore, a vincere sarebbero il virus, l’inquinamento e i terroristi. «Il vero problema è l’assuefazione a vivere in perenne emergenza», osserva Venanzoni.
IL RUOLO DEI MEDIA E LE ACCUSE DI NEGAZIONISMO
Il costituzionalista tira in ballo anche i media, che «in alcuni casi hanno un interesse diretto». Il riferimento è a quegli editori e grandi marchi digitali che operano nei settori delle energie rinnovabili o delle auto elettriche. «Tendo a non ritenere casuale che certe testate utilizzino tutti i giorni termini come inferno e apocalisse». Inoltre, così si fa pure da sponda al potere istituzionale. Andrea Venanzoni nell’intervista a La Verità contesta anche l’uso del termine negazionismo per equiparare il dissenso sul clima e il Covid alla negazione dell’Olocausto o per gettare ombre su chi dissente: «È un’operazione oscena perché banalizza la tragedia dell’Olocausto. Accusando qualcuno di negazionismo, lo uccido socialmente, rendendolo impresentabile, degradandolo alla stregua di nemico che non merita di essere riconosciuto come controparte». A tal proposito, conclude con un commento sull’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che da un lato ritiene «comprensibile in un’ottica di richiamo generale alla responsabilità», ma d’altro canto ha «prestato il fianco al consolidamento di una narrazione a senso decisamente unico. Non a caso, le sue parole sono state subito rilanciate da una precisa parte politica in ottica antigovernativa».