Evidentemente ancora entusiasta per il successo del recente summit tra Celac e Ue a Bruxelles, dove per la prima volta l’America Latina è uscita rafforzata da un confronto con il Vecchio continente, al suo ritorno in Brasile il Presidente Lula Da Silva ha dichiarato che “nell’arco dei 500 anni di storia del Continente, il miglior periodo vissuto dall’America Latina è stato quello che ha visto al potere, nei rispettivi Stati, i Kirchner, Chavez e Correa e che non bisogna offendersi se veniamo definiti comunisti ma esserne orgogliosi, perché lo meritiamo”.
In pratica, il Presidente brasiliano ha detto qualcosa che si sapeva chiaramente ma non era mai stato affermato in maniera così netta, anche perché bisogna considerare che la sua elezione è stata molto dubbia e contrastata nel risultato, con una vittoria sul filo di lana e, soprattutto, con una buona metà del Brasile che gli rema contro.
Dichiarazione alquanto strana, anche perché i Presidenti citati sono tutti accomunati (lui compreso) da una caratteristica: la corruzione che ha imperversato nei loro Paesi durante quelli che potremmo definire dei regimi, anche se eletti attraverso liberi suffragi. E difatti tutti gli Stati sono poi precipitati in crisi notevoli, Brasile incluso, visto che la sta vivendo.
Allo stesso tempo il Presidente del Brasile si trova a un passo (manca il voto del Senato) per mantenere fede a uno dei punti principali della sua campagna elettorale: la riforma fiscale. Il provvedimento prevede l’unione di cinque tributi principali in uno solo, ma, allo stesso tempo, di spostare la base imponibile dal luogo di produzione dei beni a quello di consumo per un periodo di 50 anni.
In parole povere questa manovra avrebbe come risultato l’innalzamento dei prezzi sui mercati e potrebbe portare a un’ulteriore innalzamento dell’inflazione, creando problemi pure alla produzione dei beni, visto che ne diminuirebbe il consumo: anche se si prevede un trattamento separato per beni inerenti la salute, i trasporti e l’istruzione. C’è pure, ovviamente, la parte “green” della questione con aliquote inferiore per i biocarburanti rispetto a quelli fossili.
C’è da dire che, seppur si debba ancora superare l’ostacolo del voto del Senato, questa riforma richiederà tempi lunghissimi per la sua approvazione e anche realizzazione, visto che si prevede che, se tutto va bene, i risultati si avranno non prima del 2033… ergo campa cavallo… I suoi effetti, però, cominciano già a vedersi: in questi giorni un’importante catena internazionale di ferramenta ha annunciato il suo ritiro dal mercato brasiliano, iniziando a realizzare promozioni sui suoi prodotti per ultimare gli stock di merce rimanente.
Fa discutere anche una decisione, in tutt’altro settore, presa dall’attuale Governo: quella di porre un controllo nei social network in modo di chiudere gli accounts che diffondono notizie false, ma soprattutto cancellare dagli stessi quelli di persone o gruppi che difendono apertamente l’ex Presidente Bolsonaro.
Insomma, Lula sta, giorno dopo giorno e nonostante le critiche e i sondaggi diano la sua popolarità in forte calo pure nei settori della società che l’hanno appoggiato nella tornata elettorale, costruendo un tipo di Stato che altro non è che la copia esatta di quelli da lui elencati nella sua esaltazione del comunismo.
Di certo, lo ripetiamo, dopo l’incontro con la Ue, dove pure i Presidenti latinoamericani aderenti al Foro di San Paolo (che riunisce i Governi populisti del Continente), si sono incontrati con i loro pari europei radical-chic per celebrare la vittoria, in molti iniziano a pensare come ormai, visto anche il potere economico che sia Cina che Russia hanno ogni giorno di più in quell’area del mondo, ci si stia preparando a un cambio molto profondo che prevede, tra l’altro, la fine della democrazia in molti Paesi e la loro entrata i regimi totalitari: anche se, bisogna dirlo (e il Brasile è un esempio), le resistenze interne a questa realizzazione sono notevoli visto che, con l’eccezione del Venezuela e del Nicaragua, la maggioranza del populismo non è affatto solida. E i Paesi di quest’area soffrono tutti, indistintamente, di crisi importanti.
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